DI COSA SI TRATTA: in seguito a una complicata sequenza di vicissitudini, la moglie di uno stampatore e uno dei suoi dipendenti fuggono insieme e diventano amanti. Il loro destino è preannunciato dal titolo (non quello originale).
COSA MI E' PIACIUTO: Mizoguchi è il Victor Hugo del cinema (così comel'Hugo romanziere era un fenomenale autore per il cinema ante litteram): non esplora i caratteri, non suggerisce, racconta, e i suoi racconti sono densi e avvincenti. La fiammella della narrazione è animata costantemente, e i personaggi compaiono e agiscono senza l'accompagnamento di sovrastrutture interpretative fornite dall'autore. L'assunto è chiaro: qui la struttura della società è così rigida da soffocare la forza dell'amore, al punto da punirlo con il consenso di tutti, perché la legge e la morale coincidono perfettamente. Curiosamente ho appena visto (e recensito) un altro film che parla esattamente delle stesse cose e si riferisce allo stesso periodo storico (XVII secolo), Dies irae di C.T. Dreyer. Nella preziosa fotografia prevalgono le scene in penombra (da ricordare quella sulla barca, in cui l'uomo dichiara il suo amore), sicché spicca in modo lancinante la luminosità dell'ambiente e dei volti degli amanti condotti al patibolo nel finale da brivido (i finali emozionanti sono una specialità di Mizoguchi).
COSA NON MI HA CONVINTO: essendo la fine nota, non tanto per il titolo, visto che quello originale è completamente diverso, ma perché all'inizio viene mostrata la crocifissione di due amanti, la struttura dell'intera storia risulta troppo allungata, e i molti dettagli - perché la trama è densa - la adornano, la illustrano, ma non la fortificano. La persistente penombra alla lunga stanca gli occhi e la mente. Certo, rappresenta bene l'angustia del contesto sociale e l'angoscia che ne consegue, ma qualche apertura in più, per contrasto, ci sarebbe stata bene.
Ho visto Amanti crocifissi in giapponese
con i sottotitoli in spagnolo.
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