DI COSA SI TRATTA: la famiglia di Apu ha lasciato il villaggio e si è trasferita a Benares. Dopo l'improvvisa morte del padre, Apu entra dapprima in un collegio, e poi lascia la madre per andare a studiare a Calcutta.
COSA MI E' PIACIUTO:
secondo episodio della cosiddetta Trilogia di Apu, in virtù della sua chiarezza descrittiva anche senza l'uso della parola, dopo dieci minuti mi fa dire che prima o poi in India io ci devo andare, anche se quella è un'India degli anni '20. Come già nel primo film, è entusiasmante il modo pittorico, ancor più che fotografico, nel quale Ray compone le inquadrature. Un bel parallelo fra le varie fasi della crescita di Apu lo si può apprezzare confrontando la prima partenza per Calcutta, quando il giovane s'incammina baldanzoso ed entusiasta ricordandosi solo dopo una cinquantina di metri di volgersi a salutare la madre, con la seconda partenza dopo una vacanza, quando Apu, svegliato in ritardo, non si volta neppure, ma arrivato alla stazione finge di aver perso il treno e torna a casa per passare un altro giorno con la sua mamma. Toccanti i due ritratti successivi della madre, nelle medesime circostanze che ho citato: la prima volta soffre nel veder partire il figlio per la grande città, ma sa che lo rivedrà; la seconda invece è sopraffatta dal dolore, perché a causa delle sue condizioni di salute, di cui non ha reso il figlio pienamente consapevole, teme che non lo rivedrà più. Tutte le mamme che hanno un figlio lontano da casa non potranno sfuggire alla commozione. I cambiamenti nella vita di Apu sono rappresentativi di quelli della società indiana, ma rimane, quale tratto comune, la dignità nella sofferenza, che Ray illumina con delicato pudore. Belle le musiche di Ravi Shankar.
COSA NON MI HA CONVINTO: -
CURIOSITA': non so perché il nome del protagonista sia stato traslitterato come Apu, quando la pronuncia è qualcosa di simile a "Ópó", con la seconda o un po' più chiusa della prima.
Ho visto Aparajito nella versione
originale con i sottotitoli in spagnolo.
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