DI COSA SI TRATTA: un uomo, che ha appena accompagnato il padre alla sepoltura, è ossessionato da sogni inquietanti impregnati di sesso e di morte, e riceve messaggi che parlano di un passato che non ricorda.
COSA MI E' PIACIUTO: la conferma che nei film di Emiliano Cribari ben poco è realmente quello che sembra di primo acchito, viene addirittura dal genere. Autodafé è presentato come un noir, ma per quasi metà film sembra piuttosto un thriller psicologico con forti connotazioni erotiche e horror (fenomeni di poltergeist). Quindi io mi aspetto un noir e vedo un'altra cosa; poi, un po' alla volta, abituatomi all'idea di cui sopra, mi ritrovo un vero noir. Quello che mi disturba di molti noir, è l'accumulo di elementi che anziché servire il racconto alimentano la legittimità dell'appartenenza al genere. Ed è esattamente l'opposto di ciò che mi offre Emiliano Cribari. Nella prima parte sembra accumulare un bel po' di materiale incoerente, e poi un po' alla volta tutte le tessere del mosaico si accomodano al loro posto. Tanto per dire, anche la spiegazione del mistero, o almeno una traccia di essa, è contenuta nelle immagini che già abbiamo visto, solo che l'autore ci ha distratti con l'abilità dell'illusionista (non posso dire di più, ovviamente). Per mettere il lettore di queste note alla pari di chi le scrive, debbo informare che sulla copertina del dvd compaiono una panchina su sfondo bianco, e la scritta: Siediti qui e muori. Ora. Inutile dire che a un certo punto la panchina compare davvero (fotogramma in basso a destra). La qualità dei dialoghi e della fotografia è quella che ci si deve aspettare da un poeta dedito alla fotografia. I dialoghi sono di una precisione assoluta, le inquadrature studiatissime e non di rado suggestive, o semplicemente belle. A proposito di dialoghi, è sempre piuttosto difficile scrivere battute credibili da assegnare a un personaggio straniero che parla in italiano. Il personaggio di Katia parla invece proprio come si esprimerebbe una donna dell'est europeo (in questo caso rumena, con un buon bagaglio di vocaboli ma con molta confusione in testa su dove occorrano gli articoli e dove no), e l'attrice che la impersona (Barbara Esposito) è fiorentina! Efficace l'espediente utilizzato nella scena finale di fondere un personaggio maschile, una voce femminile (Erika Renai) e un volto sempre femminile ma di un'altra attrice (non-Erika Renai) in una sola entità.
COSA NON MI HA CONVINTO: nel primo dialogo, girato nell'azienda alimentare dove il protagonista lavora, Rizzolo teatralizza un po' troppo il modo di porgere le battute. Io l'avrei rifatta, questa scena, anche perché poi la cosa non si ripete.
CURIOSITA': compaiono, come sempre, due feticci del Cribari appassionato di tecnologia e di calcio: un bel Macbook Pro che diventa, assieme ai suoni tipici del suo sistema operativo, co-protagonista della storia (la mela morsicata è seminascosta, ma chi possiede un simile gioiello lo riconosce alla prima inquadratura), e una sciarpa dell'Atalanta (anche qui si legge solo lanta ma è sufficiente).
Se volete conoscere le regole del "Metodo Le cose che so di me", cui questo film si attiene, vi rimando a questa pagina.
Ho visto Autodafé in italiano senza
sottotitoli.
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