COSA MI E' PIACIUTO: grandi scenari naturali,
con più d'una ripresa alla Eisenstein (i grandi cieli che sovrastano
i piccoli uomini, confinati nel decimo inferiore dell'inquadratura,
oppure gli uomini a cavallo e le loro ombre ritagliati nel bianco accecante
della terra sabbiosa), straordinaria prova degli attori, in particolar
modo di Holden e Borgnine. Le due sparatorie di apertura e di chiusura
sono molto spettacolari: nel '69 suscitarono molto scalpore per la cruda
fisicità della violenza, ma ancora oggi fanno un certo effetto.
Nella sua parte "messicana" il film si veste da documentario
del "National Geographic", non senza efficacia, pur limitando
la sua incursione all'ambito figurativo. La regia di Peckinpah è
maestosa: domina con pari padronanza l'illustrazione del dettaglio e
la complessità della forma globale dell'opera.
COSA NON MI HA CONVINTO: i titoli di testa sono
esasperanti. La tecnica del fermo immagine "solarizzato" in
bianco e nero è originale, ma ci tiene in ostaggio per 5'40".
E' anche un modo per avvisarci che i tempi saranno lunghi. Per la critica
americana è un "classico americano", per quella europea
è un film anomalo per essere americano. Io mi trovo, infelicemente,
nel mezzo: l'espressione "classico americano" non m'ispira
alcun entusiasmo, soprattutto a causa del fatto che è piuttosto
azzeccata, e le anomalie non riesco a coglierle del tutto. E' un film
violento che non lascia affiorare i valori che lo alimentano attraverso
la narrazione, ma li rilascia didascalicamente, in modo un po' schematico,
come se fossero dei cartelli. E sono anche penalizzato dalla mia freddezza
riguardo al genere western: un'ammissione che spero mitigherà
almeno in parte l'indignazione di molti nel leggere queste righe.
Ho visto Il mucchio selvaggio in inglese
con i sottotitoli in italiano.
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