COSA MI E' PIACIUTO:
Kar Wai ha un gusto singolare per la scelta delle inquadrature. E' originale
non tanto per quello che inquadra, ma da dove lo fa. La camera si nasconde
dietro una porta, alle spalle di chi sta parlando, rasoterra, al di
là di una grata, a ridosso dell'orologio di un ufficio. E' una
strategia a mio avviso non sempre drammaturgicamente rilevante, ma coadiuvata
da una splendida fotografia, fa indubbiamente il suo effetto. I due
attori sono perfetti nella loro sobrietà. Lei, in particolare,
è bellissima e molto espressiva, una statuina di cera stilizzata
che però si anima deliziosamente.
COSA NON MI HA CONVINTO: la sceneggiatura è inconsistente. Dietro
le belle immagini io non ho scorto altro, e qualche volta anche l'esercizio
stilistico del regista si fa lezioso, sicché, non sorretto da
una storia veramente interessante, annoia. Tolte la testa e la coda,
il film dura circa un'ora e 25 minuti, eppure mi è sembrato lunghissimo,
perché non c'è curiosità per quello che deve succedere.
Infatti è troppo chiaro fin dall'inizio che non succederà
niente, e che dovrò accontentarmi di appagare soltanto la vista.
Il finale, che vorrebbe essere poetico attraverso l'ellissi, non comunica
nulla. Affascinanti però sono i luoghi dove è stato girato:
le rovine di Angkor in Cambogia. Irritante la ripetizione dei tre brani
musicali, un pezzo originale di Michael Galasso di per sé non
entusiasmante, e due canzoni cantate in uno spagnolo dalla pronuncia
insopportabilmente sporca da Nat King Cole. Avete presenti i cori inglesi
quando cantano in latino? Beh, peggio. E' la seconda volta che mi lascio
convincere a vedermi questi dichiarati capolavori della cinematografia
di Hong Kong. Non so se ce ne sarà una terza, anche se questo
film qualche pregio, tutto sommato, ce l'ha.
Ho visto In the Mood for Love in cantonese
con sottotitoli in italiano.
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