COSA MI E' PIACIUTO:
1916, ci pensate? E per certi aspetti è un'opera modernissima.
Griffith ha veramente dettato la grammatica del cinema a generazioni
di autori e registi fino ai nostri giorni, e i suoi sono gli unici film
di quel periodo nei quali gli attori non sembrino tutti in posa davanti
alla macchina da presa in attesa di una foto. Il progetto è grandioso:
quattro storie di epoche diverse con un unico filo conduttore, richiamato
dal titolo, che si alternano a un ritmo sempre più serrato, come
se il respiro si accorciasse. E il finale tiene davvero col fiato sospeso:
ce la faranno i nostri eroi? Non è la semplice curiosità
dell'appassionato di antiquariato cinematografico. Ma anche l'esecuzione
del progetto è impressionante: tutta quella gente nella stessa
inquadratura oggi la si mette solo con la grafica computerizzata, costa
migliaia di volte meno. Per la complessità dell'operazione, per
le dimensioni delle opere, e per la ricerca dell'innovazione tecnica,
accosterei Intolerance a Napoléon di Abel Gance.
In ambedue i casi non esiste una versione definitiva, ma bensì
differenti montaggi di lunghezza variabile.
COSA NON MI HA CONVINTO: Intolerance non ebbe allora un grande
successo, né di critica né di pubblico. Se oggi possiamo
quantomeno apprezzare la sua importanza concreta, e non museale, per
la storia del cinema, oggi come allora è difficile non lamentare
la estenuante lunghezza del film (io sono stato agevolato dalla rottura
del lettore, che mi ha costretto a spezzare la visione in due serate),
e l'approssimazione con cui viene definito il tema comune alle quattro
storie.
CURIOSITA': la grande Lillian Gish è l'eterna
madre che culla il suo bambino negli stacchi da una storia all'altra.
NOTA: non è necessario rompere il lettore
dvd per spezzare la visione in più serate. Il mio lettore si
è rotto per conto suo: non è che poi venite a chiedermi
i danni...
Ho visto Intolerance nell'unico modo
possibile, cioè con i cartelli originali in lingua imglese.
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