COSA MI E' PIACIUTO:
Dominique Pinon potrebbe interpretare una mensola, o un aspirapolvere,
e sarebbe comunque interessante. Come già in Delicatessen, Jeunet
e Caro costruiscono un mondo fantastico, decisamente claustrofobico,
che vanterà numerosi imitatori oltreoceano negli anni seguenti,
anche se a sua volta deve qualcosa alla fantasia malata (lo dico in
senso affettuoso) del Gilliam di Brazil. La bambina che interpreta la
dolce e risoluta Miette, l'allora novenne Judith Vittet, ha un viso
delizioso al servizio di un sicuro talento (come conferma Jeunet nel
documentario). A quanto pare, però, a parte un paio di particine,
non si è più riproposta, almeno per il momento. Gli effetti
speciali sono molto ben concepiti e realizzati. Ci sono alcune idee
davvero ingegnose, come quella del topolino, che ricorda un po' gli
stratagemmi di Amélie nel successivo film di Jeunet, o come il
personaggio del cervello con l'emicrania, o i cloni ossessionati dall'originalità.
Bella la musica (Angelo Badalamenti).
COSA NON MI HA CONVINTO: la storia è davvero molto macchinosa.
Tutto ciò che si vede è alquanto caricaturale, il che
peraltro permette ai rari momenti di semplicità di elevarsi fino
alle soglie della poesia. Come già in Delicatessen, c'è
a mio avviso qualche spunto fumettistico di troppo. Qui però
c'è almeno un'idea di fondo, che tuttavia rischia di restarci,
sul fondo, tanto è carica di orpelli.
CURIOSITA': il film è arrivato in Italia
solo nel 1999, col titolo La città perduta. Costava fatica tradurre
letteralmente La città dei bambini perduti, che sarebbe stato
più bello e soprattutto più pertinente?
Ho visto La città perduta in francese
(in particolare la bambina ha una pronuncia un po' scivolosa e mi ha
creato qualche problema di comprensione).
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