DI COSA SI TRATTA: triangolo amoroso nell'alta società della New York di fine XIX secolo.
COSA MI E' PIACIUTO:
raramente il cinema si è occupato di quel tipo di società. Il motivo può essere quello dell'estrema somiglianza con analoghe ambientazioni europee: il primo quarto d'ora sembra un rifacimento di Senso di L. Visconti. Ma Scorsese ci mette la sua originalità di regista, che va oltre l'accuratezza descrittiva. La bella inquadratura trae linfa dal movimento di macchina, che crea una dimensione ulteriore e dà spessore psicologico alla sequenza. Si veda il campo e controcampo fra Day-Lewis e la Pfeiffer nel parco presso il lago: ciascuna delle due inquadrature è mossa da un lento avvicinamento verso il primissimo piano, che si interrompe quando si passa sull'altra inquadratura, ma riprende poi da dove era stata lasciata. La sequenza approda a un ritratto di profilo della donna con la veletta sullo sfondo delle acque del lago, da cui si stacca improvvisamente in concordanza con una svolta nel dialogo. Altra ingegnosa sequenza è quella in cui una moltitudine di uomini con la bombetta in una giornata ventosa trattiene il copricapo con una mano; un simbolo dell'attaccamento alle convenzioni: tutti gli uomini devono portare il cappello e guai a perderlo, anche se la minaccia viene dalla natura. La Pfeiffer è graziosa e sensibile, ma soprattutto incarna assai bene l'idea di originalità e di estraneità alla routine che contraddistingue il suo personaggio.
COSA NON MI HA CONVINTO: la convenzionalità del soggetto abbinata all'inusuale collocazione geografica (in un film ambientato a New York uno si aspetta di veder spuntare dei gangster da ogni dove, soprattutto se è di Scorsese) rischia di produrre un senso di imitazione di un modello già fin troppo noto. In fondo, è davvero interessante esplorare il mondo dell'artistocrazia e dell'alta borghesia newyorchese del XIX secolo? Traendo spunto, poi, da un romanzo che, se la voce fuori campo di Joanne Woodward recita, come sembra plausibile, passi dell'opera letteraria, ricorda più la narrativa pre-manzoniana, e cioè fondamentalmente settecentesca, che non quella coeva degli Steinbeck e dei Faulkner? Mi viene in mente il dialogo con una mia amica di Bologna, la volta in cui mi chiese a bruciapelo se mi piacesse Morandi. Io, non comprendendo bene se alludesse al pittore o al cantante, risposi prudentemente di sì (ed ero sostanzialmente abbastanza sincero in ambedue i casi). Lei allora mi incalzò con aria severa: "Ma ti sembra normale che mentre fuori fischiano le bombe uno continui a dipingere bottiglie?"
Ho visto L'età dell'innocenza con l'audio originale e
i sottotitoli in italiano.
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