COSA MI E' PIACIUTO:
una storia malata la cui sgradevolezza è resa non solo accettabile,
ma addirittura coinvolgente, dalla verità dei personaggi che
non compromette il pudore nell'esprimere decentemente l'indicibile,
dalla spontaneità della recitazione, palesemente incoraggiata
dal regista, dall'utilizzo di mezzi tecnici che si adeguino, più
che accentuarla, alla deformazione di quella particolare realtà
rispetto alla normalità. Le scene notturne e in interni sono
caratterizzate da un'esagerazione dei contrasti prossima alla cosiddetta
solarizzazione, ed è frequente l'impiego di ottiche grandangolari,
che sono le stesse che servono a comprendere nella medesima inquadratura
due soggetti dalle dimensioni molto diverse, come il piccolo Peppino
e l'aitante Valerio. La ricorrente deformazione delle immagini tipica
dei grandangolari si estende a quasi tutto il film. Bravi i tre interpreti,
e in particolare Ernesto Mahieux mostra notevoli doti d'improvvisatore.
E' sempre piacevole veder illustrare una professione insolita, come
quella esercitata da Peppino (il tassidermista). Del resto Valerio s'interessa
a lui per il lavoro che fa. Ricorrenti i dialoghi ripresi con piani-sequenza,
in cui i movimenti di macchina non seguono il ritmo dell'alternanza
dei dialoganti, come nell'accostamento, in musica, di due ritmi differenti
simultanei.
COSA NON MI HA CONVINTO: gli intermezzi di atmosfera con accompagnamento
musicale sono ben fatti ma un po' troppo ricorrenti. La scena del litigio
notturno fra Valerio e il fratello non è particolarmente ben
riuscita.
Ho visto L'imbalsamatore in italiano.
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