COSA MI E' PIACIUTO:
il programma del film è manifestato nel magnifico dialogo a distanza
fra il gesuita (a pian terreno) e Ramón (nel suo letto, al piano
di sopra): il tema dell'eutanasia non ammette soluzioni univoche ed
accettate da tutti, non c'è una verità da ricercare, perché
ognuno di noi ha la sua. Ramón e il prete, latori di due opinioni
agli antipodi, sostengono ciascuno le proprie ragioni, ma i diritti
e i doveri dell'individuo e i diritti e i doveri della comunità
non potranno mai confluire pacificamente nello stesso bacino, soprattutto
se si tratta del bene più radicale, la vita. Alejandro Amenábar
un po' il tifo per Ramón Sampedro lo fa, ma cionondimeno permette
alla posizione antagonista di sferrare un colpo micidiale quando il
padre del protagonista, parlando con gli avvocati che sostengono la
richiesta di Ramón, dice che c'è una sola cosa peggiore
della morte di un figlio, ed è la volontà di questi di
rinunciare alla vita. Amenábar, al solito affiancato nella scrittura
da Mateo Gil, conferma di avere un enorme talento (e ricordo che nel
2004 aveva 32 anni ed era al quarto film), e una rimarchevole padronanza
dell'insieme dell'opera (ha scritto anche le musiche). Bravissimi tutti
gli attori, attorno al prodigioso Javier Bardem costretto dal ruolo
a recitare solo col viso. Il film è sempre molto emozionante
e mai ruffiano, quantomeno mai più del lecito.
COSA NON MI HA CONVINTO: le musiche, che Amenábar, avendole scritte,
concepiva come strettamente aderenti al flusso narrativo, potevano essere
in qualche momento, e anche nel complesso, un po' più discrete.
CURIOSITA': il galiziano (lo parla soprattutto
il fratello di Ramón) assomiglia alla nostra lingua ancor più
del castigliano.
Ho visto Mare dentro in spagnolo con
i sottotitoli in italiano.
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