DI COSA SI TRATTA: Cheyenne, ex pop star che si trucca e si veste ancora come quando si esibiva, va a rendere l'ultimo saluto al padre e s'impegna a trovare il tedesco che ad Auschwitz gli inflisse un'umiliazione che aveva segnato la sua vita.
COSA MI E' PIACIUTO:
uniamo i talenti di Sean Penn e Paolo Sorrentino, e abbiamo un film unico, con un personaggio stranissimo ma di grande umanità e intelligenza raccontato dal Magritte della macchina da presa. Tutto sembra volare, come il pensiero di chi sogna ad occhi aperti, e la lunghezza del racconto non ha nulla a che vedere con la ostinata staticità di Wenders, ma fa pensare piuttosto alla musica di Schubert. Dico questo perché a me il film è parso addirittura più lungo di quanto non sia (poco meno di due ore), e di ciò ho gioito. Forse anche perché i dialoghi di Sorrentino rifuggono l'ordinarietà pur restando rigorosi: c'è sempre da aspettarsi qualcosa. Stupisce l'ininterrotto contrasto fra la maschera tragica di Cheyenne e il suo scanzonato senso dell'umorismo (formidabile la battuta sul pistacchio più grande del mondo), così che quando alla fine, liberatosi dell'abituale travestimento, finalmente sorride, è come se avesse rimesso assieme i pezzi della sua personalità e volesse mostrarlo a tutti. Bravi tutti gli altri interpreti: Sorrentino è evidentemente prodigo di suggerimenti e dà agli attori indicazioni estremamente chiare. Eccellente la fotografia di Bigazzi, belle le musiche.
COSA NON MI HA CONVINTO: -
Ho visto This Must Be the Place in inglese con i sottotitoli in italiano.
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