COSA MI E' PIACIUTO:
il film cresce molto nella seconda parte. E' come se Allen avesse cominciato
a scriverlo, partendo da un'autoanalisi, quantunque tradotta al femminile,
senza sapere quale sarebbe stato l'esito della propria ricerca. E quando
le idee si fanno più chiare, il film si libera dei molti schematismi
che ne affliggono la prima parte, e guadagna in levità e purezza.
Così la sequenza migliore non può che essere il finale,
limpido ed essenziale. Ipotizzo l'autobiografismo perché Allen
ha realizzato Un'altra donna quando aveva da poco varcato la
soglia dei 50 anni, e il trauma del superamento di questa soglia ricorre
più volte, non solo in relazione alla protagonista ("la
cosa migliore nel compiere i 50 anni è che può succedere
una volta sola", come dice il marito in una delle rare battute
di spirito dell'intera sceneggiatura), adombrando, attraverso il personaggio
del padre, la vicinanza di quell'età con la vecchiaia. Un po'
come in una gara con un finale a U, dove gli atleti che imboccano il
penultimo rettilineo già sono in grado di vedere, voltandosi
appena, il rettilineo conclusivo, e il traguardo. Bravi gli attori (fra
i quali non compare il regista), e rimarchevole la fotografia, soprattutto
nella lunga sequenza del sogno.
COSA NON MI HA CONVINTO: per oltre tre quarti d'ora il film soffre di
mancanza di personalità. Secondo me succede sempre quando Allen
vuol fare un film alla Bergman. Perché vuole usare anche gli
stessi ingredienti, in particolare la cinica schiettezza dei dialoghi,
ma si vede benissimo che non è roba sua. E poi per me un Woody
Allen che rinuncia al suo grandioso senso dell'umorismo è come
uno Shevchenko schierato in mediana.
Ho visto Un'altra donna in inglese con
sottotitoli in italiano.
Questo film su Amazon.it
Woody Allen su Amazon.it