COSA MI E' PIACIUTO:
il divertentissimo inizio è anche consolatorio per quegli italiani
che pensano che certe abitudini dei funzionari e dei dipendenti degli
uffici pubblici siano una caratteristica esclusivamente nostra. Il tema
è poi ripreso con sottile arguzia nell'ultima parte. La costruzione
è insolita: il personaggio principale esce di scena dopo un'ora
e mezza, e da quel momento si mostrano le tracce che ha lasciato nella
comunità in cui ha vissuto, anche attraverso dei flashback. L'ultima
parte della sua esistenza, che non ci viene mostrata, è resa
nota dal comportamento dei posteri, in modo da illustrarne al contempo
gli effetti. Visivamente, abbondano le inquadrature complesse, con giochi
di specchi, ricche composizioni scenografiche contrapposte a lunghe
inquadrature fisse. C'è una raffinatissima interazione fra rumori,
musica e immagini. Suscita tenerezza l'incontro, caratterizzato da una
spontanea solidarietà reciproca, fra generazioni distanti, in
contrapposizione con le difficoltà nei rapporti fra generazioni
consecutive (padre e figlio). Il motore di tutto è nella domanda
che il medico pone al suo assistente: "Se sapessi di avere sei
mesi di vita, come li spenderesti?". Non è mai troppo tardi
per cercare di dare un senso alla propria esistenza.
COSA NON MI HA CONVINTO: il racconto si svolge in due tonalità
distinte, una di modo minore e una di modo maggiore. Avverto una certa
difficoltà nel modulare da una all'altra, forse perché
le peculiarità di ciascuna sono un po' troppo rimarcate, soprattutto
la cupezza del registro tragico. La modestia tecnica della presente
edizione peraltro penalizza pesantemente le qualità fisiche del
film, finendo per condizionarne la fruibilità anche sul piano
emotivo.
CURIOSITA': la "Canzone della gondola"
("Gondola no Uta"), leit motiv del film, è una canzone
popolare giapponese scritta nel 1915.
Ho visto Vivere in giapponese con i sottotitoli
in italiano.
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