COSA MI E' PIACIUTO:
primo film parlato di Chaplin, non rivela la transizione dal muto, che
il regista aveva protratto fino al 1936 con Tempi
moderni: egli non rinuncia alle gags visuali, ma le spende
bene, e ne colloca due, celeberrime, consecutivamente più o meno
a metà film. Alludo a Hynkel che gioca col mappamondo e al suo
sosia umile barbiere ebreo che serve un cliente a tempo di musica (la
5.a Danza Ungherese di Brahms). Però gli spunti di divertimento
si ricavano anche dai dialoghi, e dai rumori (i grugniti di Hynkel mentre
arringa le folle col suo aggressivo simil-tedesco che intimidisce anche
i microfoni, le monete che tintinnano nello stomaco del barbiere nella
scena dei budini). Nonostante prevalgano i toni della farsa, Chaplin
riesce a dire cose terribili con grande lucidità, e si consideri
che la misura della tragedia, riguardo alla sorte degli ebrei, si conobbe
solo anni dopo, a guerra finita, mentre questo film era uscito nel 1940
(troppo tardi, disse poi il regista). Da notare l'agilità eccezionale
di un Chaplin già cinquantunenne.
COSA NON MI HA CONVINTO: il discorso finale è
lodevolissimo e del tutto condivisibile, ma poteva concludersi un po'
prima, per il bene del film. L'ultima sequenza, dal momento in cui il
barbiere chiama Hannah, è, a mio parere, di troppo. Nella scena
in cui Hannah viene umiliata dal lancio dei pomodori, il commento musicale
pecca di patetismo.
Ho visto Il grande dittatore in inglese
con i sottotitoli in italiano.
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