COSA MI E' PIACIUTO:
non sono abituato a collocare storicamente un film nel momento in cui
mi chiedo se mi è piaciuto, ma qui l'ambientazione è così
fortemente denotata sotto il profilo cronologico (quelle automobili,
quei mobili, i vestiti e le acconciature) che non posso far a meno di
pensare che I pugni in tasca è del 1965, e che fino
a quel momento il cinema italiano probabilmente non ci aveva ancora
mostrato nulla di così aspro. La cattiveria che Bellocchio assegna
ai suoi personaggi non è l'esito di un atto gratuito, perché
non c'è da parte sua disprezzo nel raccontarceli. "In quella
famiglia sono tutti malati", dice un ragazzo in paese, ma afferma
ciò a mo' di constatazione, non per mancanza di rispetto o per
amor di pettegolezzo. I rapporti famigliari che intercorrono fra la
madre cieca e i suoi 4 figli (uno dei quali è demente, un altro
è epilettico e animato da slanci omicidi, nonché legato
alla sorella da un affetto morboso), compongono un quadro tenebroso
che suscita un autentico malessere. Il ventiseienne Bellocchio mostra
fin da questo suo primo lungometraggio improvvisi squarcianti lampi
di genio, associando l'inconsueto al verosimile. Bravissimi Lou Castel
e Paola Pitagora, che diventerà celebre due anni più tardi
interpretando per la televisione "I promessi sposi" di Sandro
Bolchi (e non so quanti conoscessero la sua interpretazione, in questo
film di Bellocchio, di un ruolo diametralmente opposto a quello di Lucia).
Bella ambientazione (Bobbio, in provincia di Piacenza).
COSA NON MI HA CONVINTO: in alcuni passi, fortunatamente rari, i dialoghi
si fanno un po' troppo forbiti, riecheggiando lo stile dello sceneggiato
televisivo dell'epoca e contrastando con ciò che stiamo vedendo.
Qualche bel congiuntivo in meno non avrebbe guastato.
Ho visto I pugni in tasca in italiano.
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