COSA MI E' PIACIUTO:
il segreto per apprezzare la maggior parte dei film di Fellini è
non cercare a tutti i costi dei significati. Quando lui mette in scena
i suoi sogni e le sue fantasie non è detto che voglia associarvi
un messaggio: il suo desiderio è quello di condividere le sue
invenzioni con il pubblico. E non di rado la qualità di queste
invenzioni, ne La città delle donne, è elevatissima,
anche quando la fantasia sfiora il delirio. Per mettere in risalto la
figura di Snaporaz, che poi è lo stesso autore, Fellini affianca
al sempre grande Marcello Mastroianni attori non particolarmente famosi,
a parte Ettore Manni (che morì sparandosi accidentalmente proprio
in quell'anno). Fra le immagini che più s'incidono nella memoria,
lo scivolo illuminato (che fu preso a prestito per anni nella sua sigla
dalla trasmissione rai delle anteprima cinematografiche ), il bordello
con la maîtresse-automa che ripete sempre la stessa frase ("anduma
bei fioi, anduma bei gioi, ciavuma, futuma"), la donna ideale che
si sgonfia colpita dalle raffiche di mitra della femminista. Ma questo,
oltre che da vedere, è un film da ascoltare, per l'originalità
e la raffinatezza dei testi, nonché per la creatività
nell'uso delle cadenze dialettali (peccato dunque che la qualità
dell'audio sia così modesta).
COSA NON MI HA CONVINTO: la sincronizzazione del parlato, come spesso
accadeva nei film di Fellini, è molto imprecisa, talora in misura
insopportabile. Qualche volta Fellini esagera nello sganciarsi dalla
realtà, e ci sono sequenze che sono inverosimili anche come sogni.
La musica di Bacalov, più che richiamare lo stile di Nino Rota,
tende a scimmiottarlo.
Ho visto La città delle donne in
italiano senza sottotitoli.
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