DI COSA SI TRATTA: la storia di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, due attori simbolo del regime fascista: il loro amore, le loro vite disordinate, la morte violenta nell'aprile del '45.
COSA MI E' PIACIUTO:
la storiografia su quei giorni e su quei fatti è sempre stata un chiarissimo esempio di manicheismo. Giordana lo fa dire allo stesso Valenti/Zingaretti quando, nella bellissima sequenza-chiave girata su un tram di Milano, spiega alle educande che gli chiedono dei suoi progetti futuri come sarà il suo prossimo film, intitolato, appunto, Sanguepazzo: è troppo semplice dividere tutti in buoni e cattivi, ognuno di noi è sia buono che cattivo. E inoltre, come Giordana ha detto in una recente intervista, non esiste "la Storia", ma esistono "le storie", condizionate nel loro evolversi da infinite variabili. Di conseguenza non esiste "la Giustizia": ciò che può sembrare giusto per alcuni, non lo è per altri. Mirabile il modo in cui il giovane partigiano interpretato da Luigi Lo Cascio, dopo l'esecuzione dei due attori "cattivi", dice "Abbiamo fatto giustizia". L'intonazione è tale per cui la sua non è né un'affermazione né una domanda: già si sta interrogando sulla legittimità dell'atto appena compiuto. Solo un pregiudizio plasmato dal cieco ideologismo potrebbe far vedere questo film come un tentativo di demolire i valori della Resistenza. C'è, al contrario, la volontà di individuare e sfrondare gli eccessi per purificare e fortificare quei valori e quell'idea.
Passando dall'idea alla materia, voglio elogiare la potenza di questa sceneggiatura, che supera di slancio i rischi della non-sequenzialità temporale con la precisione rigorosa di ogni singolo passaggio, senza una sola parola fuori posto, senza un silenzio di troppo, né una sequenza inutile ancorché preziosa. Il film dura due ore e mezza, ma proprio la struttura non lineare, che fa ardere curiosità di volta in volta momentaneamente insoddisfatte, allontana qualsiasi sensazione di prolissità.
Conoscevo il talento di Zingaretti attraverso gli sceneggiati tratti dai romanzi di Camilleri, e ne ho avuto qui una conferma eclatante, alle prese con un personaggio che, essendo un attore, richiede un'interpretazione "a strati": l'attore che fa l'attore che a volte recita anche nella vita reale... è complicata la faccenda, Zingaretti la rende semplice. Poi invece debbo confessare che della Bellucci ammiravo la bellezza classica e universale, ma che non l'avevo mai vista recitare. La ricorrente ironia sulle sue qualità estetiche che avrebbero sopperito alle carenze artistiche non mi disturbava, anche se mi domandavo come fosse possibile che una bellissima donna incapace di recitare potesse diventare una star internazionale. Se debbo giudicare da questo film, quell'ironia è decisamente fuori luogo. Monica Bellucci padroneggia assai bene un ruolo ricco di sfumature, con punte di eccellenza nei momenti in cui entra in gioco il suo istinto materno (la scena in cui dona la collanina alla ragazza è molto toccante). Tutti molto bravi anche gli altri interpreti, a cominciare da Alessio Boni che sta diventando un fedelissimo di Giordana. Fra coloro che interpretarono alcuni fra i ruoli principali ne La meglio gioventù, qui riconosciamo in brevi ma importanti apparizioni il citato Luigi Lo Cascio, e Sonia Bergamasco, prigioniera nella famigerata Villa Triste. Il piccolo ma decisivo ruolo di Daisy, l'amichetta di Koch, è interpretato da una giovane attrice lombarda, Lavinia Longhi, che avevo visto l'anno scorso in un film svizzero per la tv (svizzera), "Anime in corsa", che di per sé non mi era parso un capolavoro, ma che mi aveva fatto conoscere il talento di questa ragazza che, sono sicuro, rivedremo spesso in contesti d'importanza crescente.
Fotografia stupenda, con citazione particolare per il finale in bianco e nero. L'ambientazione è più che accurata, sembra proprio un documentario. Gli inserti dei filmati dell'epoca dell'Istituto Luce si distinguono per il fatto che sono in bianco e nero (e a parte il finale, c'è anche un finto filmato dell'epoca con i personaggi del film, nello stile di Zelig di W. Allen). Alcuni scorci della mia città, Milano, sono così ben camuffati che è ben difficile collocarli topograficamente.
Eccellenti le musiche originali di Franco Piersanti, che è senza dubbio uno dei più bravi compositori per il cinema, e al solito è stupefacente l'abilità di Giordana nel combinare il materiale musicale ai rumori, e a rendere il tutto funzionale, nei tempi e nei modi giusti, come un grande direttore d'orchestra.
COSA NON MI HA CONVINTO: tutta la sequenza del primo incontro fra Golfiero e Luisa a me è parsa un po' legnosa. Corretta, ma non all'altezza del resto, sia come scrittura che come realizzazione.
CURIOSITA': spero che questa annotazione non venga colta come un'impudica autopromozione, ma fra le musiche non originali, ad accompagnare uno snodo essenziale v'è una Sonata di Scarlatti, la K.32, in un'interpretazione che gli appassionati di musica classica che frequentano più o meno accidentalmente questo sito potrebbero aver già ascoltato.
Ho visto Sanguepazzo al cinema Apollo di Milano, Sala Fedra.