15. PITIGLIANO - VITERBO
78,8 km - disl. 836 m
Mappa realizzata grazie a Google Maps
Il pezzo mancante del puzzle di Pitigliano, il suo profilo illuminato dal sole, l'ho depositato stamattina dopo il primo tornante della salita oltre la quale ci si tuffa, non letteralmente, nel lago di Bolsena. La salita ci proietta fino a una quota di 650 metri, con pendenze dolci fra paesaggi apprezzabili. La successiva discesa ci adagia sulle rive del lago alla stessa quota di Pitigliano. Il lago di Bolsena è ampiamente balneabile e infatti i bagnanti non son pochi, in questo sabato assolato e caldo quasi oltre la media. Scenografico il borgo d Capodimonte, per raggiungere il quale prima si percorre un inatteso tratto di sterrato, e poi si supera una collinetta con una pendenza del 20% secondo il cartello, del 15 secondo il mio ciclocomputer. La questura non si è espressa. Sempre sul lago, dopo 3 km si arriva a Marta, da cui parte la strada per Tuscania, che come scoprirò poi rappresenta la parte deludente della tappa odierna. Il motivo per cui uno va a Tuscania è la visita delle due antichissime chiese di Santa Maria Maggiore e San Pietro. Ebbene, San Pietro ha la facciata coperta dalle impalcature, e l'altra chiesa le impalcature le ha all'interno. Ho sentito parlare in entrambi i casi con preoccupazione della stabilità degli edifici. In ogni caso, in entrambe le chiese è vietato fotografare. E nel caso di Santa Maria sarebbe proibito anche fotografare l'esterno, in virtù, o a causa di una serie di leggi e di circolari ministeriali che dispongono il divieto di filmare o fotografare nelle aree archeologiche. Archeologiche? Forse il ministero dava la chiesa già per crollata? A Tuscania ci sono 33 gradi all'ombra. Dopo quello che ho sopportato l'anno scorso questo non è nulla, ma per la prima volta mi è venuta la curiosità di guardare il termometro. Per chiudere la tappa mancano 20 km abbondanti con alcune ondulazioni, spesso con lunghi rettilinei sui quali alcuni automobilisti si gettano lungo il baratro della loro idiozia. Peraltro si perdono delle viste agresti non disprezzabili, ma probabilmente il loro senso dell'estetica del paesaggio è paragonabile a quello di Vittorio Sgarbi (che scagliandosi contro le pale eoliche forse crede di esser degno di Don Quijote). A Viterbo arrivo giusto per trovare un albergo (ma in questo caso è l'albergo che trova me, visto che la simpatica proprietaria mi chiede dalla soglia se sto cercando una stanza) e per recarmi al ristorante cinese che ho scorto lungo l'ultima salita, poco prima della Porta Fiorentina. Si chiama Ying Feng. Lo consiglio perché offre una cucina largamente sopra la media. E poi dei ristoranti cinesi apprezzo l'efficienza. Se uno va di fretta riesce a mangiare un vagone di alimenti in meno di mezzora. Nel caso specifico, la gentilissima proprietaria, quando mi sono complimentato con il loro cuoco, ha replicato sorridendo: "Ma è il maritino mio!" Mi ha spiegato che lui proviene da una famiglia di ristoratori che lavoravano nel centro di Milano, i suoi di lei lavoravano ad Anzio. Si sono incontrati, si sono sposati e hanno aperto questo ristorante a Viterbo 14 anni fa. Comprano la carne lì nei pressi, il pesce a Marta, le verdure sono quelle del loro orto. E la qualità degli ingredienti si sente. "Mi duole contraddirla" diceva il cameriere islandese di "Pane e tulipani" interpretato da Bruno Ganz, "ma i cinesi sono i più grandi ristoratori del mondo".
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