COSA MI E' PIACIUTO:
la staticità e la normalità della vita famigliare sono
agitate dalla descrizione del cambiamento dei costumi nella società
giapponese post-bellica: la sacralità della famiglia soggiace
alle esigenze personali, e l'egoismo prende il sopravvento sulla reciprocità
degli affetti. Sono cose che tutti viviamo ogni giorno, ma per rendercele
significative in un film, occorrono la profondità di pensiero
(profondità nella semplicità) e la poesia di Yasujiro
Ozu. Egli ci costringe in spazi angusti, riducendo il mondo esterno
a poche immagini insignificanti che fungono da stacco tra una scena
e l'altra, e ci obbliga a condividere i sentimenti dei suoi personaggi.
Non ci sono messaggi nascosti nei film di Ozu, tutto è così
chiaro da sembrare uno specchio nel quale osservare noi stessi. L'ammirazione
per Chishu Ryu, che interpreta la figura del padre, è pari al
mio innamoramento per Setsuko Hara, idolo di tutti i giapponesi. Il
suo sorriso è la luce di tutti i maggiori film di Ozu, la sua
particolarissima voce policroma ne é la inconfondibile colonna
sonora. Un dialogo fulminante fra Noriko (S. Hara) e la giovane cognata
(traduco alla buona). La giovane: "Ma allora, la vita è
un cumulo di delusioni". Noriko, sorridendo come sempre: "Sì".
COSA NON MI HA CONVINTO: il prezzo da pagare per farsi coinvolgere totalmente
nell'atmosfera del film, è la sopportazione dei suoi tempi lunghi.
E' un prezzo che si paga volentieri, perché la ricompensa è
grande.
Ho visto Viaggio a Tokyo in giapponese
con i sottotitoli in inglese.
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