La nuova bicicletta è ancora un'Olympia
Condor. Cambiano il colore, da argento a verde scuro, il cambio, che
è sempre Shimano, sempre con gli stessi rapporti, ma più
valido del precedente, e la taglia: questo telaio è un po' più
grande. Non perché io sia cresciuto ancora, è un po' tardi
per questo, ma perché l'altra bici era leggerissimamente più
piccola del dovuto. Però, nonostante tutti i miei buoni propositi,
nel '94 il Ciclogiro Clodiano non ha luogo. Succede che parto più
tardi del solito, dopo la finale dei Mondiali di calcio che l'Italia
di Sacchi perde ai rigori, con un programma troppo denso, e quindi con
tappe troppo lunghe e pesanti. Sicché non sono troppo convinto
già prima di partire, e quel lunedì in cui esco di casa
fa un caldo pazzesco: non sono ancora le 6, e già ci si sente
soffocare. In Piemonte trovo un nebbione tale che sembra di essere in
novembre. Ho dormito poco, perché la partita è finita
dopo mezzanotte, e quindi ho addosso una fiacca che la metà basterebbe.
La somma di tutti questi fattori mi induce a prendere la clamorosa decisione
di tornare indietro, prima che sia troppo tardi. Mi fermo a dormire
a Vercelli, dove mi gioco le energie residue in una battaglia matta
e disperatissima contro le zanzare, e la mattina dopo riparto verso
casa. Nei pressi di Milano, il caldo è così intenso che
non posso nemmeno mettere un piede a terra ai semafori, perché
la scarpa affonda nell'asfalto e poi rischio di ripartire con una scarpa
sola (dopo il primo stop, senza scarpe dopo il secondo). Nei primi giorni
dopo questa falsa partenza rimango convinto di aver fatto una scelta
saggia. Ma più avanti, dopo un periodo di soggiorno in montagna,
sento che mi manca qualcosa di importante, e finisco per progettare
in fretta un viaggio di un paio di settimane. La seconda partenza avviene
verso il 20 agosto. Il caldo è ancora spaventoso; io provo a
non farci caso, ma sul Passo del Carmine, nell'Oltrepò, forse
anche perché ho bevuto troppa acqua fredda, mi si blocca lo stomaco,
e sto malissimo. Non ricordo volentieri la sofferenza patita nel discendere
in val Tidone, per prendere alloggio a Castel San Giovanni. Vado a letto
senza cena. La mattina dopo, deboluccio ma complessivamente in buone
condizioni, torno a casa. All'ingresso in Milano, alle 11 del mattino,
la temperatura è ancora di 39 gradi. Imparo comunque una cosa:
il periodo di gran lunga migliore per i miei viaggi in bici resta quello
che va dal solstizio d'estate alla fine di luglio, principalmente per
due motivi: le giornate sono più lunghe, e gli alberghi sono...più
aperti. In molte località che non abbiano una spiccata vocazione
turistica gli alberghi e i ristoranti in agosto sono spesso chiusi.
Nell'autunno e nell'inverno successivi vengo
colto da una crisi di astinenza da cicloturismo. Passo gran parte del
tempo a elaborare e limare un nuovo itinerario, che si snoderà
principalmente in montagna. Una parola sugli allenamenti: generalmente
esco di sabato pomeriggio, e faccio sempre lo stesso percorso in Brianza:
Milano, Monza, Canonica al Lambro, Tregasio, Monticello e ritorno. Sono
67 chilometri di tracciato misto che percorro in poco più di
tre ore (quanto poco dipende dagli oltre 100 semafori da affrontare,
e ogni anno ce n'è qualcuno in più). Comincio a febbraio,
e difficilmente arrivo al momento della partenza con più di 1000
chilometri nelle gambe. Una novità del 1995 è che ho un
nuovo obbiettivo per la mia Nikon FE2, uno zoom 70-210 che affianca
il 35-70.
TAPPA N° 1 - Milano-Como, km. 121,1 **
Esco da Milano percorrendo la Varesina, che tutto sommato è la
meno pericolosa delle grandi statali che partono da Milano. Nel Parco
delle Groane c'è da vedere la bella Villa
Arconati, e più avanti cose interessanti si possono osservare
a Saronno e a
Cislago (dove
un magrebino molto fantasioso insiste a lungo perché gli compri
un tappeto). Una sosta un po' più meditata è da dedicarsi
a Castiglione Olona (1,
2,
3,
4).
Non fa troppo caldo, ma nel primo pomeriggio ecco comparire il solito
mal di stomaco. Mi fermo a Como senza indugiare nel centro città:
trovo una camera vicino al confine di Chiasso, e sono contento perché
finalmente la prospettiva non è quella di tornare a casa subito.
TAPPA N° 2 - Rodi Fiesso, km. 117,3 ***½
Subito una visita a Mendrisio,
che ha una graziosa parte antica. Poi vado a vedere il battistero di
Riva San Vitale, del VI secolo. La salita del Monte Ceneri è
impegnativa solo negli ultimi 2 chilometri, poi la discesa avviene su
una strada molto larga, ben asfaltata, e con lunghi rettilinei. Se non
avessi le borse che mi frenano, andrei fortissimo. A Bellinzona (1,
2, 3,
4, 5,
6, 7,
8) dedico
parecchio tempo, salendo al Castel Grande, dal quale si può ammirare
il Castel Montebello: ambedue fiabeschi. Il tempo, soleggiato fin qui,
peggiora un pochino: si addensano nubi minacciose, e qualche goccia
innocua scenderà più avanti, verso la fine della tappa.
Alcuni tratti di salita impegnativa si incontrano tra Giornico e Lavorgo
(circa 5 km) e da Faido all'arrivo (circa 6 km). All'albergo la signora
che mi accoglie quasi si giustifica annunciandomi che per cena è
previsto risotto allo zafferano con ossobuco. Non le ho ancora detto
che sono milanese.
TAPPA N° 3 - Gletsch, km. 59,4, *****
Oggi avrei in previsione tre passi tre. Nufenen, Furka e San Gottardo.
Sarà difficile. Il tratto che mi porta ad Airolo, dove compro
in una pasticceria alcuni piccoli panettoni (prima il risotto con l'ossobuco,
adesso il panettone, sembra quasi che i ticinesi stiano stendendo un
tappeto rosso ai piedi del Duca di Milano in visita di cortesia), è
verdissimo e punteggiato da belle case in legno (Piotta).
Ad Ambrì
al ritorno potrò ammirare attraverso un finestrone la mitica
pista della Valascia. Da bambino non mi perdevo una partita dell'Ambrì
alla tv svizzera (sto parlando di hockey su ghiaccio, per i pochi che
non capissero). La salita della Nufenen (a quanto pare è femminile
in tedesco come lo è in italiano - la Novena), che parte da Airolo,
è bellissima fin dall'inizio (1,
2, 3,
4, 5,
6, 7,
8, 9,
10, 11,
12). La cosa
più impressionante è l'enorme quantità di neve
ai lati della strada. In cima, il panorama farebbe pensare che ci troviamo
ad una quota molto più alta di quella effettiva (2478 m slm).
L'ascesa è assai impegnativa, sia per la lunghezza complessiva
di 24 km, sia per la severità delle pendenze negli ultimi 14.
Sul passo mi si avvicina uno svizzero tedesco che non finisce più
di complimentarsi: mi stringe la mano tre volte, poi quando gli dico
che sto per fare anche il Furka, dopo aver ululato per un po' mi stringe
la mano per la quarta volta. In realtà finirò per non
meritarmi né gli ululati né la quarta stretta di mano,
perché il tempo peggiora rapidamente, e poco prima di Gletsch
mi becco un acquazzone intenso anche se fortunatamente di breve durata.
Siccome in quel luogo e in quel preciso momento fa bella vista di sé
un albergo ristorante, decido che il Furka può benissimo aspettare
fino a domani.
TAPPA N° 4 - Hospental, km. 32,1 **
Per la prima volta da sempre, sono partito con la pioggia. Ho aspettato
al riparo del garage per un po', ma poi ho perso la pazienza e alle
8,30 mi sono messo in marcia (1,
2). Finché
gli impermeabili hanno tenuto, non è andata male, ma poi, inzuppandosi
i vestiti, e abbassandosi la temperatura con l'elevarsi della quota,
la situazione è precipitata. Mi sono fermato al piazzale del
belvedere, a circa 2200 metri, ed ho fugacemente ammirato il ghiacciaio
del Rodano, fantasmagorico gruppo scultoreo tutto pinnacoli di colore
blu intenso, ma già tremavo violentemente per il freddo. Da un
minuscolo rifugio su un lato del piazzale si è affacciata una
ragazza che mi ha invitato ad entrare. Se ci penso adesso mi sembra
pazzesco aver rifiutato, ma in quel momento temevo che se mi fossi fermato
lì poi non avrei più avuto il coraggio di ripartire. Avevo
l'impressione che le dita mi si spezzassero (i guanti impermeabili li
ha lasciati a casa, la volpe), e già pensavo alla successiva
discesa, e alla vendita del mio bellissimo Bechstein a mezza coda, ché
tanto io non sarei mai più stato in grado di suonarlo. Mentre
mi accingevo a valicare il passo, a quota 2438 metri, pensavo: quale
altro folle potrebbe soltanto pensare di trovarsi qui adesso in bicicletta
con questo clima? Ecco che dalla nebbia sbuca un altro folle che ha
pensato bene di trovarsi qui adesso in bicicletta con questo clima.
Ci salutiamo con trasporto, e per un momento dimentichiamo quello che
ci aspetta lungo le rispettive gelide discese. Lungo la mia, la nebbia
consentiva una visibilità di una decina di metri al massimo,
e la pioggia era sempre più gelata, quasi nevischio. Le mie mani:
blu, come il ghiacciaio del Rodano ammirato poc'anzi. Le mie gambe:
due molle impazzite a causa dei violenti tremori. Allora mi sono ricordato
di un consiglio di Beppe Saronni, sentito alla televisione: non bisogna
cominciare a battere i denti, sennò è finita. Obbedisco
a Saronni, e alla fine penso che molto probabilmente aveva ragione.
A Hospental, che compare fra i refoli di nebbia come un miraggio, mi
rifugio nel primo albergo che incontro. Il proprietario è un
allenatore di sci della nazionale elvetica. Parliamo a lungo di un sacco
di cose, e mi dimentico subito dell'avventura appena vissuta. Anche
perché si dice che l'indomani il tempo migliorerà.
TAPPA N° 5 - San Bernardino, km. 123,6
****
Dopo il grande freddo, una bella giornata di sole. Subito il San Gottardo
(strada nuova), che presenta pendenze regolari e piuttosto abbordabili
(1, 2).
In discesa (1,
2) faccio la
strada vecchia, quasi tutta in pavé, pittorescamente attorcigliata
all'interno di una gola. Quando arrivo in fondo mi accorgo che il cerchio
posteriore si è un po' deformato, pur non essendoci alcun raggio
rotto. La discesa fino a Bellinzona è in parte disturbata da
un gruppo di ragazzotti in bici un po' stupidini, che continuano a superarmi
e a rallentare (1,
2, 3).
Non che ce l'abbiano con me, ma rompono le scatole. La salita del San
Bernardino ha anche tratti abbastanza duri, ma offre quasi costantemente
belle viste e alcune occasioni per una sosta contemplativa (il villaggio
di Lostallo, la cascata della Buffalora (1,
2),
le rovine di Mesocco [1,
2, 3,
4], il
Lago Dosso). Arrivo abbastanza tardi, verso le 20,30. Ho superato
2100 metri di dislivello, che associati alla distanza fanno una tappa
decisamente sostanziosa.
TAPPA N° 6 - Montespluga, km. 96,5 ***½
Completo l'ascesa al Passo del San Bernardino (1,
2, 3)
in mezzo a una mandria. Davvero pittoresco, le mucche sono così
simpatiche, ma quanta cacca! Più che una scalata, uno slalom.
L'ultimo chilometro è in falsopiano. In discesa fa un gran freddo.
La strada che si avvia verso la Via Mala è strettissima e corre
parallela all'autostrada. Se uno volesse entrarci, in autostrada, anche
contro mano, non troverebbe niente e nessuno ad impedirlo: le autostrade
elvetiche non hanno caselli. Le gole della Via Mala (1,
2, 3,
4) sono piuttosto
impressionanti. Arrivo fino a Thusis e poi torno indietro, non senza
fare un giretto per Andeer (1,
2, 3, 4),
dove si mette a piovere forte. Aspetto tre quarti d'ora, ma poi, visto
che non ne vuole sapere di smettere, indosso sopra la solita maglia
la giacca della tuta, le mantelline, e vado. Del resto, ormai sono abituato
a ben altro. Il Passo dello Spluga è abbastanza faticoso, anche
perché la salita comincia prima di Splügen. Da metà
in poi dell'ascesa son tutti pascoli. Cade regolarmente una pioggerellina
molto sottile, e man mano che salgo vedo ridursi la visibilità.
In cima, non si vede nulla oltre i tre metri. Al primo paese in territorio
italiano, Montespluga
(1900 m slm), mi fermo. Oltre a una camera per la notte, trovo ad attendermi
un magnifico brasato con la polenta che rimarrà per sempre nella
mia memoria. E pensare che la cuoca quasi si scusa per non potermi offrire
niente di diverso. Anche oggi, 2100 metri di dislivello.
TAPPA N° 7 - Castello/Mezzoldo, km. 96
**½
Qui in montagna l'estate non è ancora cominciata, evidentemente.
Dopo la nebbia sullo Spluga, ecco la nebbia
sul San Marco. La discesa da Montespluga (1,
2) si svolge su
una strada molto stretta e non particolarmente spettacolare. La salita
del San Marco è molto dura: sono 26,5 km con un dislivello di
1770 metri (leggendo la cartina sembra un po' meno, ma quello che la
cartina non segnala è il ventesimo chilometro in discesa). Questa
strada è stata ripristinata in tempi assai recenti, e battezzata
dal Giro d'Italia. Era considerata importante già in epoca romana.
Quello che offre al cicloturista, a parte l'occasione di spendere un
bel po' di energie, non è molto, ma negli ultimi chilometri,
anche grazie alla quasi totale assenza del traffico motorizzato, si
possono osservare tantissime marmotte.
Si sente un gran fischiare da tutte le parti, e se si arriva sottovento,
come capita a me in questa occasione, si ha l'opportunità di
arrivare molto vicino alle bestiole senza farsi notare. In albergo,
lungo la successiva discesa, mi dicono che mancano i predatori che le
caccino, sicché le marmotte stanno proliferando a dismisura.
TAPPA N° 8 - Lovere, km. 146,9 **
Oggi è in programma una tappa quasi pianeggiante, alla fine della
quale già rimpiango le montagne. Cornello dei Tasso (1,
2,
3)
è un paesino minuscolo, assai isolato (ma una volta vi transitava
la via Priula), di grande fascino. Ci si arriva praticamente solo a
piedi, e benché a prima vista possa sembrare strano, ci abita
ancora diversa gente. Bergamo Alta (1,
2) mi è
già ben nota, ma è sempre un piacere tornarci. La parte
più interessante della tappa finisce qui: i vari castelli in
pianura, eccetto quelli di Malpaga e Pagazzano,
sono edifici piuttosto semplici e privi di peculiarità importanti.
Segnalo però lo stranissimo campanile di Urgnano.
Troppo trafficata la strada che da Trescore conduce a Lovere.
TAPPA N° 9 - Iseo, km. 108,8 ***
Le due attrazioni della giornata, ovvero la Valle di Scalve, conosciuta
anche come la Via Mala della Lombardia (1,
2, 3,
4, 5,
6), e le piramidi
di Zone (1, 2,
3), compenseranno
alla fine la noia dei lunghi tratti di puro trasferimento. Oggi fa caldo;
sulla salita per Zone mooolto caldo. L'inizio della Via Mala è
decisamente allarmante: si entra in una galleria piuttosto trafficata
e male illuminata, quindi pericolosa. C'è anche una stradina
che passa all'esterno, ma l'accesso è proibito. Poco dopo, seconda
galleria: mi pare che abbia caratteristiche simili alla prima. Di nuovo,
c'è anche una strada esterna, ma chiusa (viene segnalata come
dismessa). Decido di passare ugualmente fuori dalla galleria, e scopro
un luogo incantato di cui gli automobilisti non si accorgono nemmeno:
la vecchia strada è miracolosamente scavata nella roccia, a strapiombo
su un orrido profondissimo. Per molti tratti occorre scendere dalla
bici e procedere a piedi, perché sulla sede stradale vi sono
tronchi, massi, e altri residui di frane più o meno recenti.
Non è neanche detto che sia particolarmente prudente passare
di lì, anzi, mi pare di poter dire che non lo sia affatto, ma
non posso rinunciare a un simile spettacolo. La strada sale poi verso
la Croce di Salven: questo tratto, come pure la successiva discesa,
sono assai più normali, quantunque piacevoli. Le piramidi di
terra di Zone si possono ammirare dopo poco più di 5 km della
strada che sale dal Lago d'Iseo. Beh, sono proprio strane. Vien quasi
da pensare che siano state costruite dall'uomo, anche se sappiamo che
non è così. Iseo è una cittadina turistica piuttosto
affollata.
TAPPA N° 10 - Bagolino, km. 66,4 **½
La prima salita della giornata, il Passo Tre Termini, non è né
difficile, né interessante. Purtroppo c'è molta foschia,
che rimarrà una costante di tutto l'itinerario odierno. Il Passo
Maniva è di sicuro più impegnativo, ma a causa della scarsa
visibilità non saprei dire se è anche più gradevole.
Su in cima, fra le due alternative previste del Crocedomìni e
della strada per Anfo (sterrata), opto per una terza via: una strada
asfaltata che scende a Bagolino, fra pascoli, di recente costruzione,
suppongo, perché sulla mia cartina non ve n'è traccia.
Bagolino (1,
2, 3,
4, 5)
è un paese graziosissimo, con strani sottopassi fra le vecchie
case. Dalla finestra della mia stanza si accede a una bella vista.
TAPPA N° 11 - Fiavé, km. 103,6 **
La discesa da Bagolino non è proprio regolare, con alcune contropendenze
di cui, di prima mattina, si farebbe anche a meno. Dopo Idro, la strada
di Capovalle, apparentemente così innocente, sale in realtà
fino a 1020 metri, attraverso pendenze che in alcuni momenti raggiungono
il 12% (secondo le indicazioni stradali). Dopo la discesa, c'è
un lungo tratto di falsopiano che costeggia il Lago
di Valvestino. C'è poco traffico, e si procede serenamente.
Quindi, la definitiva discesa su Gargnano, con belle viste. La strada
lungolago è pericolosa, anche a causa delle gallerie talora non
illuminate. Da Riva del Garda parte la salita che dovrebbe costeggiare
le Cascate del Varone. Purtroppo le sento solo scrosciare, perché
per sbaglio ho preso la parallela. Peccato. La zona di Fiavé
sembrerebbe un'ideale località di soggiorno. Perché non
soggiornarvi, allora, almeno per questa notte? (Lago
di Tenno)
TAPPA N° 12 - Cles, km. 95,7 ****
Giornata calda, ma con un po' di pioggia nel pomeriggio. Il castello
di Stenico (1,
2) è bello
soprattutto visto da lontano. Il lago di Molveno è verdissimo.
Ci sono molti tedeschi: chissà perché i tedeschi amano
così tanto i laghi. La discesa (1,
2) verso
l'imbocco della Val di Non è assai panoramica. In Val di Non,
mele dappertutto, soprattutto lungo la strada che passa da Tuenno, che
è meno trafficata e più spettacolare rispetto alla statale.
Proprio da Tuenno parte la strada per il Lago di Tovel. Inizia con un
chilometro di salita, cui fanno seguito un chilometro e mezzo di discesa,
e tre chilometri di salita "normale". La
salita che segue, annunciata da un cartello che segnala la presenza
di pendenze del 20%, è assai meno normale. Per fortuna è
molto bella: alterna freschi boschi a spettacolari pietraie, e non c'è
traffico. Il lago (1,
2, 3,
4, 5)
non è più rosso com'era una volta, perché l'inquinamento
ha ucciso i microorganismi che ne coloravano le acque, ma è comunque
di sensazionale bellezza, soprattutto oggi che le nuvole corrono veloci,
lasciando cadere qualche goccia, e i colori cambiano continuamente.
Ritorno per la stessa strada, e faccio tappa a Cles. (Vigo
Lomaso)
TAPPA N° 13 - Lana, km. 64 ***½
Castel Bragher (1,
2) è
piuttosto in alto rispetto alla strada statale. Da lì, ho deciso
di raggiungere San Romedio senza tornare sui miei passi. In effetti
ciò si rivela possibile. Dopo Coredo (1,
2), una specie
di strada forestale lunga circa 3 chilometri, che prudentemente scelgo
di percorrere a piedi, mi conduce al Santuario,
che è effettivamente molto suggestivo, ma anche terribilmente
affollato. I paesi che da Sanzeno si incontrano fino a Fondo hanno belle
architetture rustiche (1,
2). Molti fiori
ovunque. Il Passo Palade è molto lungo (da Sanzeno sono oltre
26 km), ma facile. Negli ultimi 3 km di ascesa mi accompagna, non invitato,
uno sciame di insetti molto fastidiosi. Sul passo, improvvisamente,
non li vedo e non li sento più, ma sul lato destro della strada
un altro ciclista, che si era fermato un momento, comincia a dimenare
le mani apparentemente senza motivo. Un involontario omaggio a Jacques
Tati. In discesa, belle viste sulla piana e su Castel Leone (1,
2).
TAPPA N° 14 - Passo Pinei, km. 82,3 ***
Dopo aver percorso la bella strada secondaria che tra meleti, e relative
docce forzate, mi conduce a Bolzano, salgo allo Scilliar per una strada
impegnativa ma senza strappi troppo violenti. Belle
viste. E da qui salgo ancora verso l'Alpe di Siusi (1,
2, 3),
che mi delude un po', forse anche a causa della scarsa visibilità,
ma di sicuro per la durezza della scalata: gli ultimi 10 km sono al
9%. Mi piace molto, invece, la strada che sale al Passo Pinei, col sole
basso alle spalle, nonostante il primo tratto al 16%. Il borgo più
interessante fra quelli attraversati oggi si rivela Castelrotto (1,
2). (Castel
Firmiano)
TAPPA N° 15 - Armentarola, km. 76,1 ****
Splendida giornata dolomitica, con i passi Gardena (1,
2, 3, 4),
Campolongo (verdissimo, 1,
2) e Falzarego
(1, 2,
3). E fin qui
tutto bene. Che il tempo non fosse troppo rassicurante, tuttavia, lo
avevo capito da un po', e comunque, sul Passo Falzarego, ho indossato
le mantelline e mi sono avviato verso il Valparola. Ma dopo poche centinaia
di metri si è scatenato un nubifragio che è degenerato
subito in grandinata. Dolorosi i chicchi aguzzi sulle mie mani nude,
ma soprattutto devastanti per le gomme della mia bici quelli che si
erano già depositati sul fondo stradale creando una compatta
coltre candida. Al primo tornante della discesa, la gomma posteriore
si è afflosciata. Non era il caso di fermarsi proprio lì
a cambiare la camera d'aria, sotto il diluvio. Allora sono sceso dalla
bici e ho camminato per oltre 8 km, fermandomi al primo albergo utile.
A metà strada mi ha affiancato un'automobile da cui è
sceso un ragazzo, che viaggiava con altre persone. Mi avevano visto
transitare sul Valparola sotto la grandine e probabilmente mi avevano
anche visto forare, sicché sono scesi di lì apposta per
sapere se avevo bisogno di aiuto, dopodiché sono risaliti verso
il passo. Sono cose belle.. La copertura si è praticamente macinata,
e dovrò cambiarla. Ma quello che mi preoccupa di più è
che non ho chiuso il sacchetto di plastica che custodiva l'apparecchiatura
fotografica, e il mio nuovo zoom 70-210 si è allagato (vedi
foto).
TAPPA N° 16 - Rasun di Sopra, km 82,7 ***½
La prima parte della giornata è dedicata soprattutto a curare
le ferite: cambiata la gomma, e raccolte informazioni sul tema dell'allagamento
dell'obbiettivo e su come porvi rimedio. Pare che basterà aspettare
circa una settimana, durante la quale la condensa dovrebbe evaporare
da sola. La parte bassa della Val
Badia non è bella come quella alta: è un po' chiusa,
e stamane fa pure freddo. Invece è bellissima la Valle di Anterselva
(1, 2,
3, 4):
immensi prati verdi, e le Vedrette di Ries sullo sfondo. Il mio capolinea
è il Lago di Anterselva (1,
2, 3,
4). Gli ultimi
2 km di ascesa mettono in difficoltà la mia bici a tal punto
che ho l'impressione che ci sia qualche problema meccanico. L'illusione
ottica creata dal vasto piano inclinato non mi permette di capire ciò
che comprenderò al ritorno, quando arriverò a sfiorare
i 70 chilometri orari.
TAPPA N° 17 - Acquabona, km. 97,5 ***½
Anche oggi bel tempo al mattino e brutto di pomeriggio. Ormai è
una costante. La Valle di Casies (1,
2) non è
spettacolare come la sua parallela percorsa ieri, ma è comunque
piacevolissima anche ciclisticamente, perché ha pendenze assai
dolci. La sorpresa della giornata me la procura la Val di Landro (1,
2, 3),
che inizialmente è una tranquilla strada nel bosco, ma ad un
tratto diventa un palco privilegiato sulle Dolomiti. C'è anche
un lago (1, 2,
3, 4)
che offre tutte le possibili sfumature di verde, secondo il punto di
osservazione e secondo il momento, con il cielo nuvoloso di oggi. A
Carbonin si è messo a piovere forte, e ho dovuto cercarmi un
rifugio. Quando il cielo si è rischiarato un po', ho provato
ad avvicinarmi alla strada delle Tre Cime di Lavaredo, ma a 3 km da
Col S. Angelo si è rimesso a piovere, e allora ho fatto definitivamente
dietro-front. Piacevolissimo il tratto Carbonin-Cortina della statale
Alemagna. Sono appena giunto a Cortina, quando si scatena un altro diluvio.
Aspetto che l'intensità della pioggia diminuisca un po', e poi
mi rimetto in marcia verso San Vito di Cadore, fermandomi un po' prima.
TAPPA N° 18 - Belluno, km. 97,7 ****½
Lo schema meteo "bello al mattino e brutto al pomeriggio"
è ormai consolidato, inutile ripetersi. Dopo esser ripassato
da Cortina (1,
2), eccomi sul
Giau (1,
2, 3,
4, 5,
6, 7, 8),
che è stupendo (secondo Francesco Moser è il più
bello dei passi dolomitici, e non è detto che abbia torto). Ciclisticamente
non è una salita facile, perchè va su a strappi irregolari,
alcuni molto duri, e non è breve, ma se la gamba è buona
e il paesaggio è così magico, non ci si accorge neanche
della fatica. Bella anche la strada della Forcella
Staulanza, dopodiché si scende nelle zone dove, pare, sia
stato inventato il gelato (Forno
di Zoldo: davvero singolare quel balcone musicale, ma debbo segnalare
che c'è una nota sbagliata). Poco prima di Longarone mi si rompe
un raggio della ruota posteriore. A Longarone un meccanico mi dice che
non ha tempo di ripararmela immediatamente, e che comunque non mi devo
preoccupare perché con un solo raggio rotto si va benissimo ugualmente.
Sarà: a me quella ruota ondulata come una piadina bagnata fa
un po' impressione.
TAPPA N° 19 - Portogruaro, km. 123,7 **½
Abbandonando l'alta montagna, mi libero per una volta dello schema meteo
suesposto, e recupero il giro dell'Alpago e del Cansiglio cui avevo
dovuto rinunciare nel 1989. Ma mi tocca ugualmente una salita durissima,
fra le più ardue che abbia mai affrontato: quella da Farra d'Alpago
a Spert, 6 km con
pendenze assurde, soprattutto all'inizio. Piacevole Pian del Cansiglio,
ma il famoso Bosco del Cansiglio non mi sembra così stupefacente
come mi era stato descritto. Un bel bosco, come tanti altri. Molto belle
le viste sulla pianura nella discesa susseguente. Al termine di questa
discesa mi salta un altro raggio: ora sono due, cioè troppi.
Rintraccio quasi subito un meccanico che mi ripara subito la ruota,
mentre il figlio entra in negozio per comunicare la triste notizia della
morte di Fabio Casartelli sulle strade del Tour. A Pordenone
si può osservare un bel palazzo comunale, oltre ad alcuni eleganti
palazzetti sul corso principale. Mi fermo alla periferia di Portogruaro.
TAPPA N° 20 - Amaro, km. 118,7 ***
Scherzando sul nome della località di arrivo, mi auguro che il
mio giro non sia giunto all'amaro, che com'è noto viene addirittura
dopo la frutta. Oggi, verso le due, mi è di nuovo saltato un
raggio. Mi trovavo a Fagagna. Sono arrivato fino a San Daniele, dove
un meccanico ha dapprima tentato di cambiare la ruota, ma non ci è
riuscito perché il mio gruppo dei pignoni richiede un mozzo con
caratteristiche particolari. Allora si è limitato a riparare
il raggio, avvertendomi che non mi garantiva nulla, perché probabilmente
c'è un difetto all'attaccatura dei raggi che tende a provocarne
la rottura. Mi ha comunque invitato a cambiare la distribuzione dei
pesi, spostando le due borse laterali sul portapacchi anteriore. Io
ero molto diffidente sulla fattibilità di questa modifica, ma
poi mi sono reso conto che la bicicletta si guidava benissimo anche
così. La giornata era iniziata con la visita a Portogruaro (1,
2) e a Concordia
Sagittaria. Emozionante, poi, la Villa Manin (1,
2, 3,
4, 5,
6) a Passariano
(anche se c'ero già stato). Inatteso, dopo pochi chilometri,
il bel quartiere-castello di Cordovado (1,
2, 3).
E in chiusura Venzone (1,
2, 3),
borgo medievale totalmente ricostruito dopo il terremoto del '76. Ho
visto tre foto affiancate: 1975, 1976, 1995. L'effetto è da pelle
d'oca. Stanno terminando la ricostruzione del Duomo, rimettendo insieme
pezzo per pezzo, ciascuno appositamente numerato, nelle posizioni originali
come se fosse un puzzle.
TAPPA N° 21 - Laggio di Cadore, km. 107,5
**
I carnici sono veramente gente allegra come mi era stato detto, e salutano
tutti con il "mandi", costume al quale mi adeguo prontamente.
La prima salita, alla Forcella di Lius, è molto più complessa
del previsto, e arriva a oltre 1100 metri di altitudine. Dopo Paularo
ci sono 2 km di muro al 18%. La salita della Sella Valcalda non è
ripida, ma affrontata attorno alle 14 dà un'idea molto convincente
del motivo per cui le hanno dato quel nome. La Val
Pesarina è più piacevole, soprattutto per la presenza
di numerosi piccoli paesi fatti di case con i tetti molto spioventi,
e riccamente ornate di fiori. L'ultima salita, alla Forcella di Lavardet,
cui segue immediatamente la Sella
Ciampigotto, è molto lunga ma guadagna quota gradualmente.
In cima c'è uno stradone larghissimo, della cui ampiezza non
comprendo la ragione. In compenso la discesa verso Laggio di Cadore
è ridotta peggio di una mulattiera, al punto che per evitare
guai alla mia ruota posteriore, preferisco percorrere parecchia strada
a piedi. Le borse tuttavia le ho lasciate davanti, e ormai mi ci sono
abituato. Ho battuto il mio record di dislivello giornaliero: 2650 metri.
Ma è destinato a durare poco. (Saltino)
TAPPA N° 22 - Belluno, km. 81,2 *
Perché di nuovo a Belluno? E' vero che sono stato sull'orlo del
ritiro? A questa e ad altre domande...rispondo subito. Cominciamo dal
principio. Statale del Cadore: orribile, stretta, mal asfaltata, trafficatissima,
priva di qualsiasi interesse paesaggistico, calda. Passo Cibiana, ancora
peggio: pendenze ignobili genere sadomaso, soprattutto dopo il paese
di Cibiana, caldo soffocante, vista sui monti negata dalla foschia.
Arrivato in cima, comincio a pensare che mi mancherebbe soltanto che
saltasse di nuovo un raggio, ma non riesco a terminare il pensiero,
distratto dal colpo secco tipico del raggio che salta. La ruota è
subito storta come la giornata, cioè tantissimo. Decido in un
lampo: subito a Longarone, altrimenti, come ultima chance di salvezza,
Belluno. Sennò, bici sul treno e a casa. Peccato, però:
proprio ora che il tempo si era messo al bello. A Longarone niente da
fare. A Ponte nelle Alpi, guardandomi freneticamente in giro come neanche
Andryi Shevchenko prima di battere Buffon dal dischetto all'Old Trafford,
scorgo a un certo punto un'insegna che mi ispira fiducia: Due Ruote
Sport. Ed è nella bottega sotto quell'insegna che mi cambiano
la ruota e salvano il mio viaggio. Per adesso, mi rifugio a Belluno
(1, 2),
nello stesso albergo e perfino nella stessa camera di quattro giorni
fa.
TAPPA N° 23 - Bolzano, km. 166 **½
Per ricongiungermi all'ultima parte dell'itinerario previsto, mi sobbarco
una lunga tappa di trasferimento su un terreno moderatamente ondulato.
Va tutto bene, anche se fra Trento e Bolzano
la temperatura sfiora i 40°. Mi concedo perfino due passi a Feltre
(1, 2,
3) e a Borgo Valsugana
(1, 2).
(Egna, San
Giacomo)
TAPPA N° 24 - Vipiteno, km. 70,5 *****
Itinerario semplice: la stessa strada statale dall'inizio alla fine.
All'inizio incontro due castelli uno vicino all'altro: Castel Roncolo
(1,
2, 3,
4, 5)
e Castel Novale (1,
2), che
sovrastano le acque limacciose del torrente Talveta. La strada si avventura
in una gola, con molte gallerie, per poi approdare all'aperta e verdissima
Val Sarentina (1,
2, 3,
4). Dopo
Riobianco le pendenze si fanno sensibili: gli ultimi 8 km montano al
7% e più. Pascoli (mucche e cavalli) fino al Passo Pennes (1,
2, 3,
4, 5,
6, 7,
8). Sulle
ultime rampe c'è molto vento contrario, che accentua la mia fatica,
ma allontana altresì la minaccia della pioggia. La discesa procede
dapprima fra pascoli, cui subentra il bosco, e infine si apre ad un
panorama impressionante. Arrivo a Vipiteno
che è già ora di cena.
TAPPA N° 25 - Laces, km. 99,5 **½
Vipiteno non è poi questa gran bellezza, e i suoi abitanti mi
dimostrano in un paio di occasioni un'ostilità cui non sono per
niente abituato, e che non apprezzo affatto. Me ne vado di corsa. Il
Passo Giovo
è una salita lunghissima che procede fra i boschi, lasciando
al pascolo solo gli ultimissimi chilometri. La giornata è molto
calda, e i posti sinceramente non mi sembrano entusiasmanti. Più
bella la discesa
verso Merano. Per salire a Tirolo faccio due chilometri e mezzo di salita
dura sotto un sole più aggressivo che mai. Nel centro di Tirolo
un termometro all'ombra segna 40°. Castel
Tirolo fa la sua bella figura, anche se oggi la foschia lo penalizza
un po'. Torno a Merano e proseguo per la statale della val Venosta,
inizialmente in salita, e molto molto trafficata. Trovo una camera a
Laces con molta fatica.
TAPPA N° 26 - Spondigna, km. 66,5 ***
Stamane sveglia con crampi a un polpaccio. Lungo la salita, poi, qualche
dolore al ginocchio destro. Va bene, adesso se ho esaurito la voce "ospedale"
posso passare alle cose serie. L'unica portata prevista dal menu odìerno
è la Val Martello (1,
2, 3,
4, 5),
risalita e poi ridiscesa. La salita è dura in particolare in
alcuni punti, ed è comunque piuttosto lunga. Sono arrivato fino
a un chilometro da Paradiso di Cevedale, perché oltre quel punto
il Cevedale non si vede più. Si vede invece bene (oggi non particolarmente,
a causa della foschia) dal Lago di Gioveretto. Altri punti interessanti
sono: l'imbocco della valle, per la vista dei Castelli Montani, e a
circa 7 km dalla fine, dove c'è un piano popolato di baite. Appena
dopo, salendo, ci sono dieci tornanti in poco più di un chilometro
con forti pendenze (un cartello indica 13%). Ovunque si coltivano fragole.
Nell'aria si coglie quasi costantemente un profumo delizioso. Tornato
in Val Venosta, ho incontrato subito un temporale. Dopo una sosta al
riparo, ho ripreso il cammino fermandomi a Spondigna.
TAPPA N° 27 - Malles Venosta, km. 86,5
*****
Si comincia subito in salita vero Solda (1,
2, 3,
4),
in posizione meravigliosa su un'ampia prateria ai piedi del ghiacciaio.
L'ascesa è molto impegnativa, ma ne vale davvero la pena. Dopo
essere tornato completamente sui miei passi, affronto lo Stelvio (1,
2, 3,
4, 5,
6, 7,
8, 9,
10, 11).
Da questa parte è tutta un'altra cosa, rispetto al versante lombardo.
A Trafoi faccio merenda al bar dei Thoeni (credo che sia una figlia,
graziosissima, a servirmi). Da Trafoi al passo ci sono 15 chilometri
costantemente al 9%. Quando si arriva a 6 km dalla vetta, dopo un momento
di sconcerto perché non si riesce a capire da dove si passerà,
si scorgono tutti i numerosi tornanti che si arrampicano a zig-zag nell'erta
finale. Dall'inizio della salita, i tornanti sono 48. Nel finale mi
si chiudono le orecchie e mi si secca la gola, il tipico segnale che
mi fa sapere che comincio a entrare in riserva di energie. Sono anche
convinto di aver finito l'acqua, e ciò è male. In realtà
non ricordavo di aver riempito entrambe le borracce termiche che mi
porto appresso, per cui scoprirò che la seconda borraccia è
ancora piena solo in albergo, la sera. Comunque non vado mai davvero
in crisi, anche perché posso fermarmi tutte le volte che voglio,
e le occasioni per farlo non mancano di certo. Lo Stelvio è pur
sempre una delle strade più belle del mondo. Dopo pochi chilometri
di discesa, al Giogo di Santa Maria, giro a destra, per scendere in
Svizzera. E' un po' tardi, e mi fermo soltanto un momento per lasciar
sfogare un acquazzone di breve durata. La discesa presenta lunghi tratti
di strada sterrata, e temo un po' per la mia ruota nuova. Poco dopo
il rientro in Italia, sbaglio strada, e anziché andare direttamente
a Malles mi dirigo verso Glorenza. Da qui, infine, arrivo veramente
a Malles Venosta, dopo aver superato 2700 metri di dislivello, nuovo
primato personale. (Il torrente Trafoi, 1,
2)
TAPPA N° 28 - Livigno, km. 113,9 ***½
Più salita del previsto, oggi (1900 metri), perché la
strada dopo Zernez sale molto più dei 1710 metri segnalati dalla
cartina. Nella parte iniziale incontro l'Abbazia
di Monte Maria, che non mi fa una grande impressione: sembra un
ospedale. La strada fino al confine austriaco è tutto sommato
ordinaria, a parte il famoso campanile di Resia (1,
2), che di ordinario
non ha proprio nulla. I pochi chilometri percorsi in territorio austriaco
sono piacevoli ma nulla più. La strada nell'Engadina
me l'aspettavo diversa, più aperta e più a fondo valle;
invece corre abbastanza elevata sulla sponda settentrionale, e il verdissimo
Inn viene non di rado lasciato molto più in basso. Ma la tappa
di oggi sarà ricordata per i bellissimi paesi di Ardez (1,
2, 3,
4, 5, 6)
e Guarda (1, 2,
3, 4, 5),
con le loro case strane e affascinanti. A Guarda è tutto un frinire
di fotocamere: ci sono i giapponesi. Da queste parti si parla il romancio,
che sembra un miscuglio di diversi dialetti lombardi e emiliani. Il
Parc Naziunal sarà anche incontaminato, ma non desta una grande
impressione: proprio per il fatto che non vi toccano nulla, il bosco
è molto disordinato. Per tornare in Italia c'è da percorrere
una lunga e stretta galleria a senso unico alternato. L'accesso alle
biciclette sarebbe proibito, ma la guardia all'ingresso s'impietosisce
di me, e tenendo conto che in effetti l'illuminazione è eccellente,
e lungo tutto il tunnel corre un bel marciapiede, mi fa passare, raccomandandomi
la massima prudenza. La galleria è perfettamente rettilinea,
le auto si sentono e si vedono arrivare con grandissimo anticipo, e
quindi nonostante le apparenze non si corre proprio alcun pericolo.
A metà percorso c'è anche un semaforo, che rispetto religiosamente.
Arrivo a Livigno ad un orario decente.
TAPPA N° 29 - Tirano, km. 81,3 ***½
La prima parte dell'itinerario,
con i passi d'Eira e di Foscagno, assai verdeggianti, è sicuramente
piacevole, nonostante il gran traffico di cacciatori di acquisti extradoganali
comprometta in misura non marginale la purezza dell'aria e la silenziosità
dei luoghi. Il momento più emozionante della giornata, però,
viene dopo, nell'attraversare la zona disastrata della Valtellina (1,
2, 3,
4). Dal verde
più lussureggiante, si passa all'improvviso ad un paesaggio di
tipo desertico-americano. Al boscoso fianco destro della vallata manca
un'enorme fetta, ove fino al 1987 sorgevano tre paesi, Aquilone, Sant'Antonio
di Morignone e Morignone. Arrivo a Tirano
molto presto, e posso finalmente concedermi quel lungo sonnellino pomeridiano
cui aspiravo da molto tempo.
TAPPA N° 30 - Tonale, km. 67,7 **½
L'Aprica è come me l'aspettavo, una salita dall'aspetto appenninico,
non molto difficile, e in cima una folla esagerata. Nemmeno la discesa
è particolarmente interessante, eccetto un passaggio panoramico.
La salita al Tonale invece è molto più bella, soprattutto
dopo Ponte di Legno. Mi fermo a 2 km dal passo...
TAPPA N° 31 - Madonna di Campiglio, km.
48,8 ***
...e la mattina seguente, con tutta calma, arrivo a Campiglio, al primo
tintinnare delle stoviglie (1,
2, 3).
Ho percorso in tutto 2899,5 km (media giornaliera 93,5), e superato
un dislivello di circa 47000 metri (media poco oltre i 1500 metri).
Rimane nella mia memoria, ancora oggi, come uno dei ciclogiri clodiani
più belli.