CICLOGIRO 1995 - Partenza il 30 giugno

 

 

 

 

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La nuova bicicletta è ancora un'Olympia Condor. Cambiano il colore, da argento a verde scuro, il cambio, che è sempre Shimano, sempre con gli stessi rapporti, ma più valido del precedente, e la taglia: questo telaio è un po' più grande. Non perché io sia cresciuto ancora, è un po' tardi per questo, ma perché l'altra bici era leggerissimamente più piccola del dovuto. Però, nonostante tutti i miei buoni propositi, nel '94 il Ciclogiro Clodiano non ha luogo. Succede che parto più tardi del solito, dopo la finale dei Mondiali di calcio che l'Italia di Sacchi perde ai rigori, con un programma troppo denso, e quindi con tappe troppo lunghe e pesanti. Sicché non sono troppo convinto già prima di partire, e quel lunedì in cui esco di casa fa un caldo pazzesco: non sono ancora le 6, e già ci si sente soffocare. In Piemonte trovo un nebbione tale che sembra di essere in novembre. Ho dormito poco, perché la partita è finita dopo mezzanotte, e quindi ho addosso una fiacca che la metà basterebbe. La somma di tutti questi fattori mi induce a prendere la clamorosa decisione di tornare indietro, prima che sia troppo tardi. Mi fermo a dormire a Vercelli, dove mi gioco le energie residue in una battaglia matta e disperatissima contro le zanzare, e la mattina dopo riparto verso casa. Nei pressi di Milano, il caldo è così intenso che non posso nemmeno mettere un piede a terra ai semafori, perché la scarpa affonda nell'asfalto e poi rischio di ripartire con una scarpa sola (dopo il primo stop, senza scarpe dopo il secondo). Nei primi giorni dopo questa falsa partenza rimango convinto di aver fatto una scelta saggia. Ma più avanti, dopo un periodo di soggiorno in montagna, sento che mi manca qualcosa di importante, e finisco per progettare in fretta un viaggio di un paio di settimane. La seconda partenza avviene verso il 20 agosto. Il caldo è ancora spaventoso; io provo a non farci caso, ma sul Passo del Carmine, nell'Oltrepò, forse anche perché ho bevuto troppa acqua fredda, mi si blocca lo stomaco, e sto malissimo. Non ricordo volentieri la sofferenza patita nel discendere in val Tidone, per prendere alloggio a Castel San Giovanni. Vado a letto senza cena. La mattina dopo, deboluccio ma complessivamente in buone condizioni, torno a casa. All'ingresso in Milano, alle 11 del mattino, la temperatura è ancora di 39 gradi. Imparo comunque una cosa: il periodo di gran lunga migliore per i miei viaggi in bici resta quello che va dal solstizio d'estate alla fine di luglio, principalmente per due motivi: le giornate sono più lunghe, e gli alberghi sono...più aperti. In molte località che non abbiano una spiccata vocazione turistica gli alberghi e i ristoranti in agosto sono spesso chiusi.

Nell'autunno e nell'inverno successivi vengo colto da una crisi di astinenza da cicloturismo. Passo gran parte del tempo a elaborare e limare un nuovo itinerario, che si snoderà principalmente in montagna. Una parola sugli allenamenti: generalmente esco di sabato pomeriggio, e faccio sempre lo stesso percorso in Brianza: Milano, Monza, Canonica al Lambro, Tregasio, Monticello e ritorno. Sono 67 chilometri di tracciato misto che percorro in poco più di tre ore (quanto poco dipende dagli oltre 100 semafori da affrontare, e ogni anno ce n'è qualcuno in più). Comincio a febbraio, e difficilmente arrivo al momento della partenza con più di 1000 chilometri nelle gambe. Una novità del 1995 è che ho un nuovo obbiettivo per la mia Nikon FE2, uno zoom 70-210 che affianca il 35-70.

TAPPA N° 1 - Milano-Como, km. 121,1 **
Esco da Milano percorrendo la Varesina, che tutto sommato è la meno pericolosa delle grandi statali che partono da Milano. Nel Parco delle Groane c'è da vedere la bella Villa Arconati, e più avanti cose interessanti si possono osservare a Saronno e a Cislago (dove un magrebino molto fantasioso insiste a lungo perché gli compri un tappeto). Una sosta un po' più meditata è da dedicarsi a Castiglione Olona (1, 2, 3, 4). Non fa troppo caldo, ma nel primo pomeriggio ecco comparire il solito mal di stomaco. Mi fermo a Como senza indugiare nel centro città: trovo una camera vicino al confine di Chiasso, e sono contento perché finalmente la prospettiva non è quella di tornare a casa subito.

TAPPA N° 2 - Rodi Fiesso, km. 117,3 ***½
Subito una visita a Mendrisio, che ha una graziosa parte antica. Poi vado a vedere il battistero di Riva San Vitale, del VI secolo. La salita del Monte Ceneri è impegnativa solo negli ultimi 2 chilometri, poi la discesa avviene su una strada molto larga, ben asfaltata, e con lunghi rettilinei. Se non avessi le borse che mi frenano, andrei fortissimo. A Bellinzona (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8) dedico parecchio tempo, salendo al Castel Grande, dal quale si può ammirare il Castel Montebello: ambedue fiabeschi. Il tempo, soleggiato fin qui, peggiora un pochino: si addensano nubi minacciose, e qualche goccia innocua scenderà più avanti, verso la fine della tappa. Alcuni tratti di salita impegnativa si incontrano tra Giornico e Lavorgo (circa 5 km) e da Faido all'arrivo (circa 6 km). All'albergo la signora che mi accoglie quasi si giustifica annunciandomi che per cena è previsto risotto allo zafferano con ossobuco. Non le ho ancora detto che sono milanese.

TAPPA N° 3 - Gletsch, km. 59,4, *****
Oggi avrei in previsione tre passi tre. Nufenen, Furka e San Gottardo. Sarà difficile. Il tratto che mi porta ad Airolo, dove compro in una pasticceria alcuni piccoli panettoni (prima il risotto con l'ossobuco, adesso il panettone, sembra quasi che i ticinesi stiano stendendo un tappeto rosso ai piedi del Duca di Milano in visita di cortesia), è verdissimo e punteggiato da belle case in legno (Piotta). Ad Ambrì al ritorno potrò ammirare attraverso un finestrone la mitica pista della Valascia. Da bambino non mi perdevo una partita dell'Ambrì alla tv svizzera (sto parlando di hockey su ghiaccio, per i pochi che non capissero). La salita della Nufenen (a quanto pare è femminile in tedesco come lo è in italiano - la Novena), che parte da Airolo, è bellissima fin dall'inizio (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12). La cosa più impressionante è l'enorme quantità di neve ai lati della strada. In cima, il panorama farebbe pensare che ci troviamo ad una quota molto più alta di quella effettiva (2478 m slm). L'ascesa è assai impegnativa, sia per la lunghezza complessiva di 24 km, sia per la severità delle pendenze negli ultimi 14. Sul passo mi si avvicina uno svizzero tedesco che non finisce più di complimentarsi: mi stringe la mano tre volte, poi quando gli dico che sto per fare anche il Furka, dopo aver ululato per un po' mi stringe la mano per la quarta volta. In realtà finirò per non meritarmi né gli ululati né la quarta stretta di mano, perché il tempo peggiora rapidamente, e poco prima di Gletsch mi becco un acquazzone intenso anche se fortunatamente di breve durata. Siccome in quel luogo e in quel preciso momento fa bella vista di sé un albergo ristorante, decido che il Furka può benissimo aspettare fino a domani.

TAPPA N° 4 - Hospental, km. 32,1 **
Per la prima volta da sempre, sono partito con la pioggia. Ho aspettato al riparo del garage per un po', ma poi ho perso la pazienza e alle 8,30 mi sono messo in marcia (1, 2). Finché gli impermeabili hanno tenuto, non è andata male, ma poi, inzuppandosi i vestiti, e abbassandosi la temperatura con l'elevarsi della quota, la situazione è precipitata. Mi sono fermato al piazzale del belvedere, a circa 2200 metri, ed ho fugacemente ammirato il ghiacciaio del Rodano, fantasmagorico gruppo scultoreo tutto pinnacoli di colore blu intenso, ma già tremavo violentemente per il freddo. Da un minuscolo rifugio su un lato del piazzale si è affacciata una ragazza che mi ha invitato ad entrare. Se ci penso adesso mi sembra pazzesco aver rifiutato, ma in quel momento temevo che se mi fossi fermato lì poi non avrei più avuto il coraggio di ripartire. Avevo l'impressione che le dita mi si spezzassero (i guanti impermeabili li ha lasciati a casa, la volpe), e già pensavo alla successiva discesa, e alla vendita del mio bellissimo Bechstein a mezza coda, ché tanto io non sarei mai più stato in grado di suonarlo. Mentre mi accingevo a valicare il passo, a quota 2438 metri, pensavo: quale altro folle potrebbe soltanto pensare di trovarsi qui adesso in bicicletta con questo clima? Ecco che dalla nebbia sbuca un altro folle che ha pensato bene di trovarsi qui adesso in bicicletta con questo clima. Ci salutiamo con trasporto, e per un momento dimentichiamo quello che ci aspetta lungo le rispettive gelide discese. Lungo la mia, la nebbia consentiva una visibilità di una decina di metri al massimo, e la pioggia era sempre più gelata, quasi nevischio. Le mie mani: blu, come il ghiacciaio del Rodano ammirato poc'anzi. Le mie gambe: due molle impazzite a causa dei violenti tremori. Allora mi sono ricordato di un consiglio di Beppe Saronni, sentito alla televisione: non bisogna cominciare a battere i denti, sennò è finita. Obbedisco a Saronni, e alla fine penso che molto probabilmente aveva ragione. A Hospental, che compare fra i refoli di nebbia come un miraggio, mi rifugio nel primo albergo che incontro. Il proprietario è un allenatore di sci della nazionale elvetica. Parliamo a lungo di un sacco di cose, e mi dimentico subito dell'avventura appena vissuta. Anche perché si dice che l'indomani il tempo migliorerà.

TAPPA N° 5 - San Bernardino, km. 123,6 ****
Dopo il grande freddo, una bella giornata di sole. Subito il San Gottardo (strada nuova), che presenta pendenze regolari e piuttosto abbordabili (1, 2). In discesa (1, 2) faccio la strada vecchia, quasi tutta in pavé, pittorescamente attorcigliata all'interno di una gola. Quando arrivo in fondo mi accorgo che il cerchio posteriore si è un po' deformato, pur non essendoci alcun raggio rotto. La discesa fino a Bellinzona è in parte disturbata da un gruppo di ragazzotti in bici un po' stupidini, che continuano a superarmi e a rallentare (1, 2, 3). Non che ce l'abbiano con me, ma rompono le scatole. La salita del San Bernardino ha anche tratti abbastanza duri, ma offre quasi costantemente belle viste e alcune occasioni per una sosta contemplativa (il villaggio di Lostallo, la cascata della Buffalora (1, 2), le rovine di Mesocco [1, 2, 3, 4], il Lago Dosso). Arrivo abbastanza tardi, verso le 20,30. Ho superato 2100 metri di dislivello, che associati alla distanza fanno una tappa decisamente sostanziosa.

TAPPA N° 6 - Montespluga, km. 96,5 ***½
Completo l'ascesa al Passo del San Bernardino (1, 2, 3) in mezzo a una mandria. Davvero pittoresco, le mucche sono così simpatiche, ma quanta cacca! Più che una scalata, uno slalom. L'ultimo chilometro è in falsopiano. In discesa fa un gran freddo. La strada che si avvia verso la Via Mala è strettissima e corre parallela all'autostrada. Se uno volesse entrarci, in autostrada, anche contro mano, non troverebbe niente e nessuno ad impedirlo: le autostrade elvetiche non hanno caselli. Le gole della Via Mala (1, 2, 3, 4) sono piuttosto impressionanti. Arrivo fino a Thusis e poi torno indietro, non senza fare un giretto per Andeer (1, 2, 3, 4), dove si mette a piovere forte. Aspetto tre quarti d'ora, ma poi, visto che non ne vuole sapere di smettere, indosso sopra la solita maglia la giacca della tuta, le mantelline, e vado. Del resto, ormai sono abituato a ben altro. Il Passo dello Spluga è abbastanza faticoso, anche perché la salita comincia prima di Splügen. Da metà in poi dell'ascesa son tutti pascoli. Cade regolarmente una pioggerellina molto sottile, e man mano che salgo vedo ridursi la visibilità. In cima, non si vede nulla oltre i tre metri. Al primo paese in territorio italiano, Montespluga (1900 m slm), mi fermo. Oltre a una camera per la notte, trovo ad attendermi un magnifico brasato con la polenta che rimarrà per sempre nella mia memoria. E pensare che la cuoca quasi si scusa per non potermi offrire niente di diverso. Anche oggi, 2100 metri di dislivello.

TAPPA N° 7 - Castello/Mezzoldo, km. 96 **½
Qui in montagna l'estate non è ancora cominciata, evidentemente. Dopo la nebbia sullo Spluga, ecco la nebbia sul San Marco. La discesa da Montespluga (1, 2) si svolge su una strada molto stretta e non particolarmente spettacolare. La salita del San Marco è molto dura: sono 26,5 km con un dislivello di 1770 metri (leggendo la cartina sembra un po' meno, ma quello che la cartina non segnala è il ventesimo chilometro in discesa). Questa strada è stata ripristinata in tempi assai recenti, e battezzata dal Giro d'Italia. Era considerata importante già in epoca romana. Quello che offre al cicloturista, a parte l'occasione di spendere un bel po' di energie, non è molto, ma negli ultimi chilometri, anche grazie alla quasi totale assenza del traffico motorizzato, si possono osservare tantissime marmotte. Si sente un gran fischiare da tutte le parti, e se si arriva sottovento, come capita a me in questa occasione, si ha l'opportunità di arrivare molto vicino alle bestiole senza farsi notare. In albergo, lungo la successiva discesa, mi dicono che mancano i predatori che le caccino, sicché le marmotte stanno proliferando a dismisura.

TAPPA N° 8 - Lovere, km. 146,9 **
Oggi è in programma una tappa quasi pianeggiante, alla fine della quale già rimpiango le montagne. Cornello dei Tasso (1, 2, 3) è un paesino minuscolo, assai isolato (ma una volta vi transitava la via Priula), di grande fascino. Ci si arriva praticamente solo a piedi, e benché a prima vista possa sembrare strano, ci abita ancora diversa gente. Bergamo Alta (1, 2) mi è già ben nota, ma è sempre un piacere tornarci. La parte più interessante della tappa finisce qui: i vari castelli in pianura, eccetto quelli di Malpaga e Pagazzano, sono edifici piuttosto semplici e privi di peculiarità importanti. Segnalo però lo stranissimo campanile di Urgnano. Troppo trafficata la strada che da Trescore conduce a Lovere.

TAPPA N° 9 - Iseo, km. 108,8 ***
Le due attrazioni della giornata, ovvero la Valle di Scalve, conosciuta anche come la Via Mala della Lombardia (1, 2, 3, 4, 5, 6), e le piramidi di Zone (1, 2, 3), compenseranno alla fine la noia dei lunghi tratti di puro trasferimento. Oggi fa caldo; sulla salita per Zone mooolto caldo. L'inizio della Via Mala è decisamente allarmante: si entra in una galleria piuttosto trafficata e male illuminata, quindi pericolosa. C'è anche una stradina che passa all'esterno, ma l'accesso è proibito. Poco dopo, seconda galleria: mi pare che abbia caratteristiche simili alla prima. Di nuovo, c'è anche una strada esterna, ma chiusa (viene segnalata come dismessa). Decido di passare ugualmente fuori dalla galleria, e scopro un luogo incantato di cui gli automobilisti non si accorgono nemmeno: la vecchia strada è miracolosamente scavata nella roccia, a strapiombo su un orrido profondissimo. Per molti tratti occorre scendere dalla bici e procedere a piedi, perché sulla sede stradale vi sono tronchi, massi, e altri residui di frane più o meno recenti. Non è neanche detto che sia particolarmente prudente passare di lì, anzi, mi pare di poter dire che non lo sia affatto, ma non posso rinunciare a un simile spettacolo. La strada sale poi verso la Croce di Salven: questo tratto, come pure la successiva discesa, sono assai più normali, quantunque piacevoli. Le piramidi di terra di Zone si possono ammirare dopo poco più di 5 km della strada che sale dal Lago d'Iseo. Beh, sono proprio strane. Vien quasi da pensare che siano state costruite dall'uomo, anche se sappiamo che non è così. Iseo è una cittadina turistica piuttosto affollata.

TAPPA N° 10 - Bagolino, km. 66,4 **½
La prima salita della giornata, il Passo Tre Termini, non è né difficile, né interessante. Purtroppo c'è molta foschia, che rimarrà una costante di tutto l'itinerario odierno. Il Passo Maniva è di sicuro più impegnativo, ma a causa della scarsa visibilità non saprei dire se è anche più gradevole. Su in cima, fra le due alternative previste del Crocedomìni e della strada per Anfo (sterrata), opto per una terza via: una strada asfaltata che scende a Bagolino, fra pascoli, di recente costruzione, suppongo, perché sulla mia cartina non ve n'è traccia. Bagolino (1, 2, 3, 4, 5) è un paese graziosissimo, con strani sottopassi fra le vecchie case. Dalla finestra della mia stanza si accede a una bella vista.

TAPPA N° 11 - Fiavé, km. 103,6 **
La discesa da Bagolino non è proprio regolare, con alcune contropendenze di cui, di prima mattina, si farebbe anche a meno. Dopo Idro, la strada di Capovalle, apparentemente così innocente, sale in realtà fino a 1020 metri, attraverso pendenze che in alcuni momenti raggiungono il 12% (secondo le indicazioni stradali). Dopo la discesa, c'è un lungo tratto di falsopiano che costeggia il Lago di Valvestino. C'è poco traffico, e si procede serenamente. Quindi, la definitiva discesa su Gargnano, con belle viste. La strada lungolago è pericolosa, anche a causa delle gallerie talora non illuminate. Da Riva del Garda parte la salita che dovrebbe costeggiare le Cascate del Varone. Purtroppo le sento solo scrosciare, perché per sbaglio ho preso la parallela. Peccato. La zona di Fiavé sembrerebbe un'ideale località di soggiorno. Perché non soggiornarvi, allora, almeno per questa notte? (Lago di Tenno)

TAPPA N° 12 - Cles, km. 95,7 ****
Giornata calda, ma con un po' di pioggia nel pomeriggio. Il castello di Stenico (1, 2) è bello soprattutto visto da lontano. Il lago di Molveno è verdissimo. Ci sono molti tedeschi: chissà perché i tedeschi amano così tanto i laghi. La discesa (1, 2) verso l'imbocco della Val di Non è assai panoramica. In Val di Non, mele dappertutto, soprattutto lungo la strada che passa da Tuenno, che è meno trafficata e più spettacolare rispetto alla statale. Proprio da Tuenno parte la strada per il Lago di Tovel. Inizia con un chilometro di salita, cui fanno seguito un chilometro e mezzo di discesa, e tre chilometri di salita "normale". La salita che segue, annunciata da un cartello che segnala la presenza di pendenze del 20%, è assai meno normale. Per fortuna è molto bella: alterna freschi boschi a spettacolari pietraie, e non c'è traffico. Il lago (1, 2, 3, 4, 5) non è più rosso com'era una volta, perché l'inquinamento ha ucciso i microorganismi che ne coloravano le acque, ma è comunque di sensazionale bellezza, soprattutto oggi che le nuvole corrono veloci, lasciando cadere qualche goccia, e i colori cambiano continuamente. Ritorno per la stessa strada, e faccio tappa a Cles. (Vigo Lomaso)

TAPPA N° 13 - Lana, km. 64 ***½
Castel Bragher (1, 2) è piuttosto in alto rispetto alla strada statale. Da lì, ho deciso di raggiungere San Romedio senza tornare sui miei passi. In effetti ciò si rivela possibile. Dopo Coredo (1, 2), una specie di strada forestale lunga circa 3 chilometri, che prudentemente scelgo di percorrere a piedi, mi conduce al Santuario, che è effettivamente molto suggestivo, ma anche terribilmente affollato. I paesi che da Sanzeno si incontrano fino a Fondo hanno belle architetture rustiche (1, 2). Molti fiori ovunque. Il Passo Palade è molto lungo (da Sanzeno sono oltre 26 km), ma facile. Negli ultimi 3 km di ascesa mi accompagna, non invitato, uno sciame di insetti molto fastidiosi. Sul passo, improvvisamente, non li vedo e non li sento più, ma sul lato destro della strada un altro ciclista, che si era fermato un momento, comincia a dimenare le mani apparentemente senza motivo. Un involontario omaggio a Jacques Tati. In discesa, belle viste sulla piana e su Castel Leone (1, 2).

TAPPA N° 14 - Passo Pinei, km. 82,3 ***
Dopo aver percorso la bella strada secondaria che tra meleti, e relative docce forzate, mi conduce a Bolzano, salgo allo Scilliar per una strada impegnativa ma senza strappi troppo violenti. Belle viste. E da qui salgo ancora verso l'Alpe di Siusi (1, 2, 3), che mi delude un po', forse anche a causa della scarsa visibilità, ma di sicuro per la durezza della scalata: gli ultimi 10 km sono al 9%. Mi piace molto, invece, la strada che sale al Passo Pinei, col sole basso alle spalle, nonostante il primo tratto al 16%. Il borgo più interessante fra quelli attraversati oggi si rivela Castelrotto (1, 2). (Castel Firmiano)

TAPPA N° 15 - Armentarola, km. 76,1 ****
Splendida giornata dolomitica, con i passi Gardena (1, 2, 3, 4), Campolongo (verdissimo, 1, 2) e Falzarego (1, 2, 3). E fin qui tutto bene. Che il tempo non fosse troppo rassicurante, tuttavia, lo avevo capito da un po', e comunque, sul Passo Falzarego, ho indossato le mantelline e mi sono avviato verso il Valparola. Ma dopo poche centinaia di metri si è scatenato un nubifragio che è degenerato subito in grandinata. Dolorosi i chicchi aguzzi sulle mie mani nude, ma soprattutto devastanti per le gomme della mia bici quelli che si erano già depositati sul fondo stradale creando una compatta coltre candida. Al primo tornante della discesa, la gomma posteriore si è afflosciata. Non era il caso di fermarsi proprio lì a cambiare la camera d'aria, sotto il diluvio. Allora sono sceso dalla bici e ho camminato per oltre 8 km, fermandomi al primo albergo utile. A metà strada mi ha affiancato un'automobile da cui è sceso un ragazzo, che viaggiava con altre persone. Mi avevano visto transitare sul Valparola sotto la grandine e probabilmente mi avevano anche visto forare, sicché sono scesi di lì apposta per sapere se avevo bisogno di aiuto, dopodiché sono risaliti verso il passo. Sono cose belle.. La copertura si è praticamente macinata, e dovrò cambiarla. Ma quello che mi preoccupa di più è che non ho chiuso il sacchetto di plastica che custodiva l'apparecchiatura fotografica, e il mio nuovo zoom 70-210 si è allagato (vedi foto).

TAPPA N° 16 - Rasun di Sopra, km 82,7 ***½
La prima parte della giornata è dedicata soprattutto a curare le ferite: cambiata la gomma, e raccolte informazioni sul tema dell'allagamento dell'obbiettivo e su come porvi rimedio. Pare che basterà aspettare circa una settimana, durante la quale la condensa dovrebbe evaporare da sola. La parte bassa della Val Badia non è bella come quella alta: è un po' chiusa, e stamane fa pure freddo. Invece è bellissima la Valle di Anterselva (1, 2, 3, 4): immensi prati verdi, e le Vedrette di Ries sullo sfondo. Il mio capolinea è il Lago di Anterselva (1, 2, 3, 4). Gli ultimi 2 km di ascesa mettono in difficoltà la mia bici a tal punto che ho l'impressione che ci sia qualche problema meccanico. L'illusione ottica creata dal vasto piano inclinato non mi permette di capire ciò che comprenderò al ritorno, quando arriverò a sfiorare i 70 chilometri orari.

TAPPA N° 17 - Acquabona, km. 97,5 ***½
Anche oggi bel tempo al mattino e brutto di pomeriggio. Ormai è una costante. La Valle di Casies (1, 2) non è spettacolare come la sua parallela percorsa ieri, ma è comunque piacevolissima anche ciclisticamente, perché ha pendenze assai dolci. La sorpresa della giornata me la procura la Val di Landro (1, 2, 3), che inizialmente è una tranquilla strada nel bosco, ma ad un tratto diventa un palco privilegiato sulle Dolomiti. C'è anche un lago (1, 2, 3, 4) che offre tutte le possibili sfumature di verde, secondo il punto di osservazione e secondo il momento, con il cielo nuvoloso di oggi. A Carbonin si è messo a piovere forte, e ho dovuto cercarmi un rifugio. Quando il cielo si è rischiarato un po', ho provato ad avvicinarmi alla strada delle Tre Cime di Lavaredo, ma a 3 km da Col S. Angelo si è rimesso a piovere, e allora ho fatto definitivamente dietro-front. Piacevolissimo il tratto Carbonin-Cortina della statale Alemagna. Sono appena giunto a Cortina, quando si scatena un altro diluvio. Aspetto che l'intensità della pioggia diminuisca un po', e poi mi rimetto in marcia verso San Vito di Cadore, fermandomi un po' prima.

TAPPA N° 18 - Belluno, km. 97,7 ****½
Lo schema meteo "bello al mattino e brutto al pomeriggio" è ormai consolidato, inutile ripetersi. Dopo esser ripassato da Cortina (1, 2), eccomi sul Giau (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8), che è stupendo (secondo Francesco Moser è il più bello dei passi dolomitici, e non è detto che abbia torto). Ciclisticamente non è una salita facile, perchè va su a strappi irregolari, alcuni molto duri, e non è breve, ma se la gamba è buona e il paesaggio è così magico, non ci si accorge neanche della fatica. Bella anche la strada della Forcella Staulanza, dopodiché si scende nelle zone dove, pare, sia stato inventato il gelato (Forno di Zoldo: davvero singolare quel balcone musicale, ma debbo segnalare che c'è una nota sbagliata). Poco prima di Longarone mi si rompe un raggio della ruota posteriore. A Longarone un meccanico mi dice che non ha tempo di ripararmela immediatamente, e che comunque non mi devo preoccupare perché con un solo raggio rotto si va benissimo ugualmente. Sarà: a me quella ruota ondulata come una piadina bagnata fa un po' impressione.

TAPPA N° 19 - Portogruaro, km. 123,7 **½
Abbandonando l'alta montagna, mi libero per una volta dello schema meteo suesposto, e recupero il giro dell'Alpago e del Cansiglio cui avevo dovuto rinunciare nel 1989. Ma mi tocca ugualmente una salita durissima, fra le più ardue che abbia mai affrontato: quella da Farra d'Alpago a Spert, 6 km con pendenze assurde, soprattutto all'inizio. Piacevole Pian del Cansiglio, ma il famoso Bosco del Cansiglio non mi sembra così stupefacente come mi era stato descritto. Un bel bosco, come tanti altri. Molto belle le viste sulla pianura nella discesa susseguente. Al termine di questa discesa mi salta un altro raggio: ora sono due, cioè troppi. Rintraccio quasi subito un meccanico che mi ripara subito la ruota, mentre il figlio entra in negozio per comunicare la triste notizia della morte di Fabio Casartelli sulle strade del Tour. A Pordenone si può osservare un bel palazzo comunale, oltre ad alcuni eleganti palazzetti sul corso principale. Mi fermo alla periferia di Portogruaro.

TAPPA N° 20 - Amaro, km. 118,7 ***
Scherzando sul nome della località di arrivo, mi auguro che il mio giro non sia giunto all'amaro, che com'è noto viene addirittura dopo la frutta. Oggi, verso le due, mi è di nuovo saltato un raggio. Mi trovavo a Fagagna. Sono arrivato fino a San Daniele, dove un meccanico ha dapprima tentato di cambiare la ruota, ma non ci è riuscito perché il mio gruppo dei pignoni richiede un mozzo con caratteristiche particolari. Allora si è limitato a riparare il raggio, avvertendomi che non mi garantiva nulla, perché probabilmente c'è un difetto all'attaccatura dei raggi che tende a provocarne la rottura. Mi ha comunque invitato a cambiare la distribuzione dei pesi, spostando le due borse laterali sul portapacchi anteriore. Io ero molto diffidente sulla fattibilità di questa modifica, ma poi mi sono reso conto che la bicicletta si guidava benissimo anche così. La giornata era iniziata con la visita a Portogruaro (1, 2) e a Concordia Sagittaria. Emozionante, poi, la Villa Manin (1, 2, 3, 4, 5, 6) a Passariano (anche se c'ero già stato). Inatteso, dopo pochi chilometri, il bel quartiere-castello di Cordovado (1, 2, 3). E in chiusura Venzone (1, 2, 3), borgo medievale totalmente ricostruito dopo il terremoto del '76. Ho visto tre foto affiancate: 1975, 1976, 1995. L'effetto è da pelle d'oca. Stanno terminando la ricostruzione del Duomo, rimettendo insieme pezzo per pezzo, ciascuno appositamente numerato, nelle posizioni originali come se fosse un puzzle.

TAPPA N° 21 - Laggio di Cadore, km. 107,5 **
I carnici sono veramente gente allegra come mi era stato detto, e salutano tutti con il "mandi", costume al quale mi adeguo prontamente. La prima salita, alla Forcella di Lius, è molto più complessa del previsto, e arriva a oltre 1100 metri di altitudine. Dopo Paularo ci sono 2 km di muro al 18%. La salita della Sella Valcalda non è ripida, ma affrontata attorno alle 14 dà un'idea molto convincente del motivo per cui le hanno dato quel nome. La Val Pesarina è più piacevole, soprattutto per la presenza di numerosi piccoli paesi fatti di case con i tetti molto spioventi, e riccamente ornate di fiori. L'ultima salita, alla Forcella di Lavardet, cui segue immediatamente la Sella Ciampigotto, è molto lunga ma guadagna quota gradualmente. In cima c'è uno stradone larghissimo, della cui ampiezza non comprendo la ragione. In compenso la discesa verso Laggio di Cadore è ridotta peggio di una mulattiera, al punto che per evitare guai alla mia ruota posteriore, preferisco percorrere parecchia strada a piedi. Le borse tuttavia le ho lasciate davanti, e ormai mi ci sono abituato. Ho battuto il mio record di dislivello giornaliero: 2650 metri. Ma è destinato a durare poco. (Saltino)

TAPPA N° 22 - Belluno, km. 81,2 *
Perché di nuovo a Belluno? E' vero che sono stato sull'orlo del ritiro? A questa e ad altre domande...rispondo subito. Cominciamo dal principio. Statale del Cadore: orribile, stretta, mal asfaltata, trafficatissima, priva di qualsiasi interesse paesaggistico, calda. Passo Cibiana, ancora peggio: pendenze ignobili genere sadomaso, soprattutto dopo il paese di Cibiana, caldo soffocante, vista sui monti negata dalla foschia. Arrivato in cima, comincio a pensare che mi mancherebbe soltanto che saltasse di nuovo un raggio, ma non riesco a terminare il pensiero, distratto dal colpo secco tipico del raggio che salta. La ruota è subito storta come la giornata, cioè tantissimo. Decido in un lampo: subito a Longarone, altrimenti, come ultima chance di salvezza, Belluno. Sennò, bici sul treno e a casa. Peccato, però: proprio ora che il tempo si era messo al bello. A Longarone niente da fare. A Ponte nelle Alpi, guardandomi freneticamente in giro come neanche Andryi Shevchenko prima di battere Buffon dal dischetto all'Old Trafford, scorgo a un certo punto un'insegna che mi ispira fiducia: Due Ruote Sport. Ed è nella bottega sotto quell'insegna che mi cambiano la ruota e salvano il mio viaggio. Per adesso, mi rifugio a Belluno (1, 2), nello stesso albergo e perfino nella stessa camera di quattro giorni fa.

TAPPA N° 23 - Bolzano, km. 166 **½
Per ricongiungermi all'ultima parte dell'itinerario previsto, mi sobbarco una lunga tappa di trasferimento su un terreno moderatamente ondulato. Va tutto bene, anche se fra Trento e Bolzano la temperatura sfiora i 40°. Mi concedo perfino due passi a Feltre (1, 2, 3) e a Borgo Valsugana (1, 2). (Egna, San Giacomo)

TAPPA N° 24 - Vipiteno, km. 70,5 *****
Itinerario semplice: la stessa strada statale dall'inizio alla fine. All'inizio incontro due castelli uno vicino all'altro: Castel Roncolo (1, 2, 3, 4, 5) e Castel Novale (1, 2), che sovrastano le acque limacciose del torrente Talveta. La strada si avventura in una gola, con molte gallerie, per poi approdare all'aperta e verdissima Val Sarentina (1, 2, 3, 4). Dopo Riobianco le pendenze si fanno sensibili: gli ultimi 8 km montano al 7% e più. Pascoli (mucche e cavalli) fino al Passo Pennes (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8). Sulle ultime rampe c'è molto vento contrario, che accentua la mia fatica, ma allontana altresì la minaccia della pioggia. La discesa procede dapprima fra pascoli, cui subentra il bosco, e infine si apre ad un panorama impressionante. Arrivo a Vipiteno che è già ora di cena.

TAPPA N° 25 - Laces, km. 99,5 **½
Vipiteno non è poi questa gran bellezza, e i suoi abitanti mi dimostrano in un paio di occasioni un'ostilità cui non sono per niente abituato, e che non apprezzo affatto. Me ne vado di corsa. Il Passo Giovo è una salita lunghissima che procede fra i boschi, lasciando al pascolo solo gli ultimissimi chilometri. La giornata è molto calda, e i posti sinceramente non mi sembrano entusiasmanti. Più bella la discesa verso Merano. Per salire a Tirolo faccio due chilometri e mezzo di salita dura sotto un sole più aggressivo che mai. Nel centro di Tirolo un termometro all'ombra segna 40°. Castel Tirolo fa la sua bella figura, anche se oggi la foschia lo penalizza un po'. Torno a Merano e proseguo per la statale della val Venosta, inizialmente in salita, e molto molto trafficata. Trovo una camera a Laces con molta fatica.

TAPPA N° 26 - Spondigna, km. 66,5 ***
Stamane sveglia con crampi a un polpaccio. Lungo la salita, poi, qualche dolore al ginocchio destro. Va bene, adesso se ho esaurito la voce "ospedale" posso passare alle cose serie. L'unica portata prevista dal menu odìerno è la Val Martello (1, 2, 3, 4, 5), risalita e poi ridiscesa. La salita è dura in particolare in alcuni punti, ed è comunque piuttosto lunga. Sono arrivato fino a un chilometro da Paradiso di Cevedale, perché oltre quel punto il Cevedale non si vede più. Si vede invece bene (oggi non particolarmente, a causa della foschia) dal Lago di Gioveretto. Altri punti interessanti sono: l'imbocco della valle, per la vista dei Castelli Montani, e a circa 7 km dalla fine, dove c'è un piano popolato di baite. Appena dopo, salendo, ci sono dieci tornanti in poco più di un chilometro con forti pendenze (un cartello indica 13%). Ovunque si coltivano fragole. Nell'aria si coglie quasi costantemente un profumo delizioso. Tornato in Val Venosta, ho incontrato subito un temporale. Dopo una sosta al riparo, ho ripreso il cammino fermandomi a Spondigna.

TAPPA N° 27 - Malles Venosta, km. 86,5 *****
Si comincia subito in salita vero Solda (1, 2, 3, 4), in posizione meravigliosa su un'ampia prateria ai piedi del ghiacciaio. L'ascesa è molto impegnativa, ma ne vale davvero la pena. Dopo essere tornato completamente sui miei passi, affronto lo Stelvio (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11). Da questa parte è tutta un'altra cosa, rispetto al versante lombardo. A Trafoi faccio merenda al bar dei Thoeni (credo che sia una figlia, graziosissima, a servirmi). Da Trafoi al passo ci sono 15 chilometri costantemente al 9%. Quando si arriva a 6 km dalla vetta, dopo un momento di sconcerto perché non si riesce a capire da dove si passerà, si scorgono tutti i numerosi tornanti che si arrampicano a zig-zag nell'erta finale. Dall'inizio della salita, i tornanti sono 48. Nel finale mi si chiudono le orecchie e mi si secca la gola, il tipico segnale che mi fa sapere che comincio a entrare in riserva di energie. Sono anche convinto di aver finito l'acqua, e ciò è male. In realtà non ricordavo di aver riempito entrambe le borracce termiche che mi porto appresso, per cui scoprirò che la seconda borraccia è ancora piena solo in albergo, la sera. Comunque non vado mai davvero in crisi, anche perché posso fermarmi tutte le volte che voglio, e le occasioni per farlo non mancano di certo. Lo Stelvio è pur sempre una delle strade più belle del mondo. Dopo pochi chilometri di discesa, al Giogo di Santa Maria, giro a destra, per scendere in Svizzera. E' un po' tardi, e mi fermo soltanto un momento per lasciar sfogare un acquazzone di breve durata. La discesa presenta lunghi tratti di strada sterrata, e temo un po' per la mia ruota nuova. Poco dopo il rientro in Italia, sbaglio strada, e anziché andare direttamente a Malles mi dirigo verso Glorenza. Da qui, infine, arrivo veramente a Malles Venosta, dopo aver superato 2700 metri di dislivello, nuovo primato personale. (Il torrente Trafoi, 1, 2)

TAPPA N° 28 - Livigno, km. 113,9 ***½
Più salita del previsto, oggi (1900 metri), perché la strada dopo Zernez sale molto più dei 1710 metri segnalati dalla cartina. Nella parte iniziale incontro l'Abbazia di Monte Maria, che non mi fa una grande impressione: sembra un ospedale. La strada fino al confine austriaco è tutto sommato ordinaria, a parte il famoso campanile di Resia (1, 2), che di ordinario non ha proprio nulla. I pochi chilometri percorsi in territorio austriaco sono piacevoli ma nulla più. La strada nell'Engadina me l'aspettavo diversa, più aperta e più a fondo valle; invece corre abbastanza elevata sulla sponda settentrionale, e il verdissimo Inn viene non di rado lasciato molto più in basso. Ma la tappa di oggi sarà ricordata per i bellissimi paesi di Ardez (1, 2, 3, 4, 5, 6) e Guarda (1, 2, 3, 4, 5), con le loro case strane e affascinanti. A Guarda è tutto un frinire di fotocamere: ci sono i giapponesi. Da queste parti si parla il romancio, che sembra un miscuglio di diversi dialetti lombardi e emiliani. Il Parc Naziunal sarà anche incontaminato, ma non desta una grande impressione: proprio per il fatto che non vi toccano nulla, il bosco è molto disordinato. Per tornare in Italia c'è da percorrere una lunga e stretta galleria a senso unico alternato. L'accesso alle biciclette sarebbe proibito, ma la guardia all'ingresso s'impietosisce di me, e tenendo conto che in effetti l'illuminazione è eccellente, e lungo tutto il tunnel corre un bel marciapiede, mi fa passare, raccomandandomi la massima prudenza. La galleria è perfettamente rettilinea, le auto si sentono e si vedono arrivare con grandissimo anticipo, e quindi nonostante le apparenze non si corre proprio alcun pericolo. A metà percorso c'è anche un semaforo, che rispetto religiosamente. Arrivo a Livigno ad un orario decente.

TAPPA N° 29 - Tirano, km. 81,3 ***½
La prima parte dell'itinerario, con i passi d'Eira e di Foscagno, assai verdeggianti, è sicuramente piacevole, nonostante il gran traffico di cacciatori di acquisti extradoganali comprometta in misura non marginale la purezza dell'aria e la silenziosità dei luoghi. Il momento più emozionante della giornata, però, viene dopo, nell'attraversare la zona disastrata della Valtellina (1, 2, 3, 4). Dal verde più lussureggiante, si passa all'improvviso ad un paesaggio di tipo desertico-americano. Al boscoso fianco destro della vallata manca un'enorme fetta, ove fino al 1987 sorgevano tre paesi, Aquilone, Sant'Antonio di Morignone e Morignone. Arrivo a Tirano molto presto, e posso finalmente concedermi quel lungo sonnellino pomeridiano cui aspiravo da molto tempo.

TAPPA N° 30 - Tonale, km. 67,7 **½
L'Aprica è come me l'aspettavo, una salita dall'aspetto appenninico, non molto difficile, e in cima una folla esagerata. Nemmeno la discesa è particolarmente interessante, eccetto un passaggio panoramico. La salita al Tonale invece è molto più bella, soprattutto dopo Ponte di Legno. Mi fermo a 2 km dal passo...

TAPPA N° 31 - Madonna di Campiglio, km. 48,8 ***
...e la mattina seguente, con tutta calma, arrivo a Campiglio, al primo tintinnare delle stoviglie (1, 2, 3).
Ho percorso in tutto 2899,5 km (media giornaliera 93,5), e superato un dislivello di circa 47000 metri (media poco oltre i 1500 metri). Rimane nella mia memoria, ancora oggi, come uno dei ciclogiri clodiani più belli.

 

 

 

 

 

 

 

 

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